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Giusto Gervasutti – (1909-1946) - CAAI

“Il Fortissimo”

 

Nella Storia dell’alpinismo vi sono uomini che giocano un ruolo essenziale e che riescono in un certo senso a catalizzare molta energia presente intorno a loro, tanto che l’analisi della loro vita permette contemporaneamente la comprensione di un’epoca e dell’alpinismo stesso.

 

Giusto Gervasutti era friulano, infatti nacque a Cervignano il 17 aprile 1909.

Leggendo il suo libro Scalate nelle Alpi, si comprende come già fin da ragazzino egli sentisse il fascino arcano dei monti e dei luoghi solitari e selvaggi, verso i quali si sentiva attratto da una forza magnetica irresistibile. Vi sono degli uomini per i quali il gran gioco del destino sembra svolgersi secondo una linea tracciata a priori e secondo gli schemi di un disegno che l’individuo non riesce più a padroneggiare ma soltanto seguire. Se ci fu un’esistenza di questo tipo, questa fu quella di Gervasutti. Egli comparve alla ribalta dell’alpinismo in un’epoca lacerata e convulsa, in cui la competizione caratterizza ogni impresa. Un’epoca in cui l’alpinismo è strumentalizzato da interessi politici e nazionali, che ne fanno uno strumento di pretesa supremazia di razza e di popolo.

Giusto Gervasutti comincia ad arrampicare nei suoi bei monti della Carnia e forse per sempre gli resterà il ricordo di quelle montagne in po’ magiche, dove la foresta, il torrente, il pascolo, la rupe, il vento ed il cielo sono ancora tali e riportano alla coscienza suoni ed immagini di un tempo lontanissimo e perduto, oppure produzioni fantastiche che appartengono ad un regno illusorio ed ideale. Comunque in Gervasutti troveremo sempre una fortissima nostalgia, una profonda melanconia ed un desiderio bruciante di qualcosa che trascende il terrestre, di un mondo che non è quello del pianeta, oppure che potrebbe essere quello del pianeta se le contraddizioni potessero essere risolte.

E’ troppo facile vivisezionare Gervasutti e dire che ciò era un derivato naturale del suo vissuto infantile, del rapporto errato che egli ebbe con la madre o forse con tutto il suo nucleo familiare.

Addirittura quello di Gervasutti potrebbe essere un caso da manuale, talmente è chiaro nelle sue linee e nei suoi particolari.

La nevrosi di Gervasutti è perfettamente delineata: il suo disprezzo per il quotidiano, la sua capacità di vivere la normalità, la sua incapacità di vivere la normalità, la sua incapacità di allacciare un rapporto stabile con una donna, il suo desiderio di infinito, il costante superamento di se stesso, l’impossibilità di vivere situazioni mediate, la paura della vecchiaia e della decadenza fisica, l’inconscio desiderio di morte. Chiunque legga le pagine di Gervasuti vi troverà con facilità tutti questi elementi.

Ma ciò è troppo facile. A dispetto di un vezzo attuale che vorrebbe spiegare tutto partendo dalla base del rapporto che l’individuo istituisce nei primissimi anni di vita con le figure materna e paterna, noi invece vorremmo spingerci un po’ più in là e vedere l’individuo non come un “robot” che giunge alla luce e sul quale vengono innestati dei relais, ma come un fascio d’energia che viaggia nel tempo e che passando attraverso strati materiali successivi indossa abiti diversi.

A noi interessa una cosa: il ricordo che affiora nella memoria dell’individuo che più di altri ha vissuto questi traumi infantili. A noi interessa il fatto che a causa di questi traumi i cancelli della memoria non si siano chiusi ermeticamente sospinti dalla rimozione, ma che vi sia rimasto uno spiraglio attraverso il quale filtra una lama sottile di luce, che come un laser va a penetrare con la sua forza distruttiva nel mondo del reale.

Giusto Gervasutti è l’uomo che condensa su di sé tutto il dramma di un’epoca e tutta la contraddizione dell’alpinismo. Si potrebbe dire che nel suo tentativo dal reale egli giunge alla paranoia. E questo è vero. Ma voler definire la paranoia anormalità ci porta negli schemi di un sistema che per salvare il salvabile ha dovuto definire ciò che è anormale e ciò che invece è normale, costringendo con vari mezzi consci ed inconsci a vivere nel normale. La paranoia è un modo di essere, è un linguaggio differente, è la possibilità del diverso. E tutto finisce qui.

Gervasuti forse disprezza i suoi simili e non li comprende. Gervasuti vola alto su ciò che intorno gli accade, sul fascismo, sulla guerra, sulle polemiche tra orientalisti ed occidentalisti, su chi dice che all’epoca molti erano più forti di lui, su chi dice che Cassin produsse un’attività superiore alla sua. Gervasuti come un aquila sola e disperata fugge nel suo nido di rocce e forse lì diventa una colomba, lì ritrova per un po’ quella pace e quella serenità che al piano gli sono negate. Ma egli ritorna pur sempre al piano, e qui il gioco ricomincia da capo. Ma Gervasuti insegue ideali grandissimi, egli cerca la follia e forse non se ne avvede. D’altronde non è forse attraverso la follia che si giunge alla conoscenza?.

Ma Gervasuti è ancora impegnato in una lotta feroce, cercando di vincere e distruggere quella parte di se stesso che egli odia e disprezza, in quanto tanto simile gli pare a quei modelli del piano che egli non ama. E con questa parte di se stesso si impegna in una lotta titanica che gli richiede tutte le sue energie e che lo porta fatalmente all’appuntamento finale della morte.

Gervasuti non si è accettato, forse non ha compreso che quella parte di se stessi non può essere distrutta, ma deve essere capita, amata, deve essere fatta crescere, accompagnata e guidata verso il grande altipiano dove il sole non tramonta mai. Ma Giusto aveva la tempra del lottatore, era del segno dell’Ariete e quindi non era certo facile alla resa. Giusto aveva lo spirito di un martire, sentiva il soffio della vocazione, avrebbe potuto essere un santone indiano. Ma forse in lui ribolliva troppo la coscienza di essere infinitamente più grande e più forte della misera condizione umana in cui si trovava ristretto: significativi sono il suo fiero disprezzo per il dolore, il suo atteggiamento di sfida con la morte e con il tempo, la costante commiserazione che ha di se stesso quando si scopre troppo debole o timoroso.

Dunque la storia di questo dio caduto dal cielo ed insoddisfatto di trovarsi uomo, ci interessa in modo particolare . E’ la storia che chiude tutta un’epoca in cui agirono i seguaci del grande “cavaliere della montagna” Paul Preuss.

La guerra segnerà un netto punto di distacco e vedremo come dopo il conflitto l’artificialismo dilagherà inarrestabile, fino a giungere al punto di massima espansione.

Gervasuti è dunque un dolomitista, un arrampicatore della scuola orientale. Fisicamente è magnificamente dotato, è un atleta nel senso più genuino della parola, anche perché egli ha il culto del suo fisico ed attraverso la pratica di numerosi sport si tiene costantemente in allenamento perfetto. Tuttavia sulle Dolomiti egli più che altro ripete le grandi vie di sesto grado aperte in quegli anni, ma non apre un itinerario che, per esempio, possa reggere il confronto con la via di Cassin alla Cima Ovest di Lavaredo. Poi, nel 1931, egli si trasferisce a Torino e qui viene subito a contatto con l’ambiente alpinistico della capitale piemontese. Conosce allora gli esponenti più significativi dell’alpinismo occidentale del momento: il valdostano Renato Chabod, studente in legge a Torino: il valdostano Amilcare Crétier, spirito inquieto ed esasperato, che morirà anch’egli giovanissimo cadendo dal Cervino, il torinese Gabriele Boccalatte, suo compagno di mille avventure, animo estremamente sensibile e raffinato, e ancora Michele Rivero, Piero Zanetti, e molti altri.

Gervasuti porta in quel ambiente non solo tutto il bagaglio tecnico della scuola orientale, ma anche l’impeto creativo di cui il suo carattere è capace, la forza di lottare e combattere, la coscienza della propria capacità disinibita. Egli dunque risveglia il mondo torinese da un torpore in cui è caduto, bloccato forse dal gelo del mondo aristocratico che gli aveva dato origine. Eppure già prima di Gervasuti questo ambiente alpinistico andava come risvegliandosi dal suo torpore, forse per prepararsi alla venuta del redentore. Gabriele Boccalatte, Renato Chabod, Amilcare Crétier e tutti gli altri, si avvicinavano alle grandi vie di roccia del Bianco di V. Ryan e di Geoffrey Winthrop Young e si accorgevano, non senza sorpresa, che essi erano perfettamente in grado di ripeterle, anzi in qualche caso riuscivano a passare dove i “grandi” non erano passati. D’altronde anch’essi, sull’esempio della scuola orientale, cominciavano ad allenarsi sulle rocce dei Tre Denti di Cumiana, su quelle della Rocca  Sbarua o sulle altre calcaree della Parete dei Militi in Valle Stretta.

Ben presto Gervasuti per gli amici divenne il “fortissimo” e ben presto egli porta i suoi stessi amici verso le lontane Dolomiti e li guida su quei grandi itinerari che essi guardavano con timore e rispetto. Ma Gervasutti ama troppo il mondo della montagna occidentale ed è lì che si impegna nelle lotte più feroci.

 

Nel 1933 comincia con la prima ripetizione della Cresta Sud dell’Aiguille Noire de Peutérey,

Poi dopo una spedizione nelle Ande argentine.

Nel 1934, nel 1935 e nel 1936 compie tre campagne successive nel massiccio del Delfinato e risolve tre problemi magnifici.

Le pagine del suo libro dedicate alla descrizione di queste imprese, sono veramente straordinarie.

Prima cade la grande parete Nord-ovest del Pic d’Olan.

Poi la Cresta dentellata del Pic Gaspard.

E poi, il capolavoro, è superata l’immensa muraglia Nord-ovest dell’Ailefroide.

Altissima, tetra, un po’ scura, incrostata di ghiaccio e battuta dalle scariche di sassi, la muraglia dell’Ailefroide è una parete che non ha rivali nel Delfinato. Su questa parete Gervasutti si impegna in una lotta leggendaria, che bene caratterizza il carattere indomabile ed irriducibile di quest’uomo. Giunto di notte all’attacco, Gervasutti cade malamente e si ritrova pesto e malconcio: il referto medico dirà poi che vi erano alcune costole rotte, traumi e contusioni un po’ dappertutto e due o tre denti spezzati. Forse chiunque altro a questo punto si sarebbe ritirato. Ma Gervasutti forse capisce che ciò che gli accade è come un dispetto del destino, come uno scherzo maligno che lo vuole allontanare dalla parete. Ed egli con rabbiosa determinazione vuole essere più forte del dolore lancinante che gli mozza li respiro, più forte delle fitte che le gengive sanguinanti gli danno ogni volta che serra le mascelle; più forte del dolore, più forte della debolezza, più forte della sua condizione umana che egli disprezza.

 E così attacca la parete, sale quasi senza infiggere chiodi intermedi, supera tratti di sesto grado in arrampicata libera che lasciano Lucien Devies (suo compagno di cordata) ammirato e sconcertato. Nella notte si scatena la bufera, il freddo esaspera ancor più il dolore delle ferite e dei traumi, ma Gervasutti sembra quasi insensibile a tutto, anzi, più gli elementi si scatenano contro di lui e più lui si sente al suo posto, realizzato, degno della sfida. Tanto che, quando, durante il secondo giorno d’arrampicata, un camino ghiacciato sembra precludere ogni possibilità d’avanzata, egli quasi ne gode e si lancia al suo superamento, trovando forse nella lotta e nel dolore quella grandezza che al piano gli era impossibile.

La parete Nord-ovest dell’Ailefroide è una delle più grandi salite della catena alpina e conta ben poche ripetizioni, tanto che oggi la si ritiene superiore alla stessa parete delle Grandes Jorasses.

Nel 1936 Gervasutti realizza un’impresa non estrema, ma significativa per meglio comprendere i lati nostalgici e melanconici del suo carattere. La vigilia di Natale egli se ne parte tutto solo e sale il Cervino lungo la via normale. “Nel pomeriggio del giorno seguente, ultimata la preparazione del sacco esco per le vie della città per dare aria alla mia eccitazione. Quasi automaticamente salgo al Monte dei Cappuccini. Sento il richiamo del vento lontano che rende più trasparente il tramonto, colorando di verde l’orizzonte. Sopra il Gran Paradiso due nuvolette riflettono ancora l’ultimo sole. Sotto di me la città sta accendendo le prime luci. L’idea dell’azione vicina suscita in me sensazioni e contrastati pensieri. Provo una grande commiserazione per i piccoli uomini, che pensano rinchiusi nel recinto sociale che sono riusciti a costruire contro il libero cielo e che non sanno e non sentono ciò che io sento in questo momento.Ieri ero come loro, tra qualche giorno ritornerò come loro. Ma oggi, oggi sono un prigioniero che ha ritrovato la sua libertà. Domani sarò un gran signore che comanderà alla vita e alla morte, alle stelle e agli elementi.

Ridiscendendo verso la città cammino senza meta per le strade affollate di gente festosa che si prepara a celebrare la grande solennità vicina. Mamme e bambini passano con grandi pacchi sulle braccia. Qualche fanciulla mi sfiora passando, ridente. Il richiamo è ora lontano, sommerso dal rumore chiassoso ed una strana nostalgia affiora dal fondo dell’animo, che aumenta ancora il piacere del prossimo distacco da tutto questo mondo…” (G. Gervasuti, Scalate nelle Alpi).

La sera di Natale, da solo, al rifugio, forse con tanta tristezza e forse con un desiderio infinito di una compagna con cui vivere insieme quei momenti, Giusto dice: “E’ la notte di Natale. Esco un momento all’aperto. Si alza un vento freddo, impetuoso. Nel chiarore lunare le montagne intorno a me sembrano irreali, evanescenti. Mi pare di essere in mondo di sogno e di vivere una favola per piccini. Passa un’ondata di malinconia…” (op. cit.).

Ma perché dunque tutto questo desiderio di fuga, quest’ansia di morte, questa ricerca di solitudine, quest’assenza triste di una dolce compagna accanto a sé?. Sovente negli alpinisti è facile scoprire un comportamento contraddittorio, che si manifesta da un lato con l’esibizione di una sessualità aggressiva, violenta e volgare, dove la donna è vissuta brutalmente come oggetto di sfogo, come bambola di carne su cui soddisfare i desideri più prepotenti ed inconciliabili. Dall’altra la figura di una donna angelica, dolce, trasferita nel regno dell’ideale. Sovente si possono osservare negli alpinisti il sorgere di intuizioni straordinarie, la manifestazione di tutta una sensibilità per gli aspetti più intimi e delicati della Natura, il potere di cogliere sfumature ed emozioni che per molti sono forse irraggiungibili, l’avere sentimenti magnifici come la generosità che giunge al sacrificio e l’amicizia vera e sincera. Ma dall’altra vi è tutta una ricerca del volgare, un volontario abbrutimento, si potrebbe quasi dire il piacere di un imbestialimento collettivo dove trovano spazio comportamenti gretti e meschini, il sorgere di invidie feroci, dove la gelosia stimola le calunnie più perfide.

Insomma è tutto un quadro fin troppo chiaro, in cui figure come quella della donna- madre e donna–amante trovano uno spazio ben definito. Sarebbe fin troppo facile, dunque, giungere alla conclusione che l’alpinista sovente è un maschilista, un fallocrate, un timoroso di castrazione. Egli non accetta la femminilità che vi è in lui e nemmeno quella che gli è esterna. Però oggi le cose vanno cambiando, in quanto molti giovani hanno capito che accettando il proprio ruolo inverso e vivendolo (dunque parliamo questa volta di alpinisti maschi e femmine) si può giungere ad una nuova situazione esistenziale, in cui anche l’alpinismo si apre a dolcissimi orizzonti che un tempo erano invisibili e sconosciuti. Ma questo non vuole essere un trattato di psicologia dell’alpinista o forse vorrebbe anche esserlo, ma limitate possibilità di spazio costringono a ritornare ai fatti.

Il 19 e 20 agosto 1938, Gervasutti, con l’amico Gabriele Boccalatte, supera la fantastica parete Sud-ovest del Picco Guglielmina e realizza una scalata di roccia pura superba, trasferendo il concetto dolomitico nel Monte Bianco. Come già si è detto, Gervasutti ha uno spirito inquieto, che non può fermarsi a ripetere ciò che già gli altri hanno fatto. Egli cerca negli angoli più riposti e selvaggi del Bianco ciò che ancora non è stato cercato e “vede” nella parete ciò che ancora gli altri non hanno visto.

 

Nel 1937, ancora non è soddisfatto, ancora come un vecchio viandante si appoggia al suo bastone e vaga per i valloni del Monte Bianco alla ricerca del “perfetto”. I suoi occhi si posano su una parete rossa come il sangue, verticale, compatta, che si alza prepotente sopra un caos di blocchi di ghiaccio ammonticchiati. Nessuno ha mai pensato di salirla. Questa è la “sua” parete, la Parete Est delle Grandes Jorasses.

E’ una parete feroce e selvaggia, come quelle che Giusto Gervasutti ama di più. Egli la studia dal fondovalle, ne osserva i rilievi, ne scruta la luce, le ombre, già immagina forse i passaggi, già vive le emozioni, già si vede come un biondo nume guerriero lottare nel sole e nel vento, in quel vento che gli scompiglia i capelli e gli porta la voce di un mondo lontano. Giusto Gervasutti si “carica” con la contemplazione per poi passare all’azione diretta. Ed infatti più volte la parete lo respinge, ma egli sempre ritorna, forse più che mai convinto che ”quella” è proprio la meta tanto sognata. Ed infine, il 16-17 agosto del 1942 con l’amico Giuseppe Gagliardone, vince e realizza una superba scalata, tecnicamente sicuramente la più difficile di quelle compiute fino al 1946 ed iscrisse definitivamente il proprio nome nell’olimpo dei più forti alpinisti di sempre.

 

Ma anche questa volta non è felice. Anche questa non era la meta. Giunto in vetta con tristezza si accorge che dovrà ancora tornare al piano, ancora vagare, ancora cercare, ancora illudersi, ancora combattere. Ancora crearsi una meta, per poi distruggerla nel superamento. E così Giusto riprende a correre, a correre su per le pareti di rosso granito, su per gli scintillanti canali di ghiaccio, su per gli spigoli solari delle Dolomiti. Ma forse è un po’ stanco. Forse qualche volta comincia a vedersi un po’ vecchio, forse comincia a capire che per molti giovani non è più “il fortissimo”, forse qualche volta la tempra del guerriero si inclina e sul viso serrato in un’espressione dura e severa si delinea un’ombra di dolcezza, uno strano sorriso infinitamente triste e socchiudendo gli occhi vede visioni di un mondo che sempre più sembra appartenere solo ai sogni. E poi la guerra…gli amici caduti che non ritorneranno più, le distruzioni. Ora Gervasuti cammina e non corre più cammina lentamente e senza fretta, appoggiandosi al suo bastone, cammina nella luce della sera su quel grandissimo prato illuminato da una luce che non sorge e non tramonta, cammina solo ma non è solo. Nel settembre del 1946 mentre si ritira lungo uno splendido pilastro di granito, rosso e compatto, che si alza come una freccia nella parete Nord-est del Mont Blanc du Tacul, Gervasutti precipita per un banale incidente in corda doppia.

Questa in breve la storia di quest’uomo, uno dei più grandi di tutto l’alpinismo (ma vi sono forse grandi e meno grandi? O forse chiunque di noi non è Gervasutti, Cristo, Buddha? Non abbiamo forse paura riconoscere il tutto in noi, e per questo proiettiamo all’esterno in immagini illusorie ciò che è in noi?).

Poco si è detto delle imprese. Ma ciò non ha molta importanza. Comunque il numero delle imprese compiute è impressionante. Bisogna anche sottolineare l’impulso che egli seppe dare all’alpinismo torinese, anche se poi la sua caduta fu un trauma gravissimo che fu poi superato con forte difficoltà dalle generazioni seguenti. Ma a noi importa l’uomo.

“…Ero partito da solo, come spesso mi accade in quell’anno. Sapevo che l’alpinismo solitario in genere è condannato e considerato quasi come una mania suicida. L’uomo, dicono i benpensanti sostenitori di questa tesi, non ha il diritto di impegnarsi di sua volontà in un gioco eccessivamente rischioso come questo…Preuss passava sovrano di vetta in vetta, di conquista in conquista, sprezzante di ogni mezzo di protezione… Io, più modestamente, mi accontentavo di andare lassù a sfogare il malumore accumulato nelle ore monotone di città. E nelle vibranti e libere corse sulle rocce tormentate, nei lunghi e muti colloqui con il sole e con il vento, con l’azzurro, nella dolcezza un po’ stanca dei delicati tramonti, ritrovavo la serenità e la tranquillità. E nessuna teoria pacifista e sentimentale potrebbe indurmi a cambiare opinione.

…E l’ebbrezza di quell’ora passata lassù isolato dal mondo, nella gloria delle altezze, potrebbe essere sufficiente a giustificare qualunque follia…Ed al giovane compagno che inizia i primi duri cimenti, ricorderò il motto dell’amico caduto su una grande montagna: Osa, osa sempre e sarai simile ad un dio”. ( G. Gervasutti, Scalate nelle Alpi).

A lui, proprio ai piedi del versante Est delle Grandes Jorasses, è stata dedicata una piccola capanna di legno, che serve da rifugio agli alpinisti impegnati sui difficili itinerari di questo versante della montagna.

 

Secondo gli storici dell’alpinismo Giusto Gervasutti ha trasportato la tecnica e ancor più la mentalità dell’alpinismo dolomitico nell’ambiente “occidentale”: un ruolo importante nel quadro dell’alpinismo italiano, ma di un’importanza relativa (relativa all’alpinismo occidentale, appunto).

L’alpinismo di Giusto Gervasuti ha avuto altre caratteristiche molto personali, come quella della scelta del compagno (o del secondo) di cordata in ambienti spesso esterni a quello “di casa”, vedi le importanti salite con Lucien Devies; l’aver conservato – anche dopo il trasferimento in Piemonte – il legame (“feeling”) originario con l’arrampicata pura, dimostrato in brillanti ripetizioni di importanti vie dolomitiche (Sass Maor Est, Civetta Nord-ovest, Cima Grande Nord – questa salita nel 1942 con Gino Soldà in tempo di record!) e nella (prima!) ripetizione tecnicamente notevolissima del passaggio di Tissi al Campanile di Brabante: quindi di una completezza a quel tempo più unica che rara.

Nonostante l’appellativo di “fortissimo”, Giusto Gervasuti non era un “duro”, non andava “avanti a tutti i costi” (anche nell’ultima salita, risulta che la ritirata fu forse dettata da un eccesso di prudenza!), aveva dei momenti di “flemma”, era ben lontano da un certo alpinismo robotizzato e senza défaillance, impostosi successivamente a suon di exploit stupefacenti.

 

1925 - Comincia a frequentare le Dolomiti.

 

1930 – Subito dopo Gervasuti si affiancano altri alpinisti di gran classe.

A Torino ebbe contatti con Boccalatte, Chabod, Rivero e molti altri.

 

1932 - Comincia la sua grande stagione: salita invernale alla Nordend, salita invernale al Cervino, all’Aiguille Verte per il canalone Mummery, via Rudatis alla Torre Coldai.

Negli anni seguenti le salite non si contano più.

Singolare scrittore di montagna, ci ha lasciato l’efficacissimo libro “Scalate sulle Alpi”.

 

1932 - Il 22 e il 23 febbraio compì un’altra invernale sul Cervino con Gabriele Boccalatte e Guido Derege. Giocarono per la combinazione: Cresta di  Furggen, Cengia Mummery, Cresta dell’Hornli, Vetta Svizzera e di nuovo Hornli.

 

1933 - 18 luglio. Gabriele Boccalatte e Ninì Pietrasanta; Giusto Gervasutti con Piero Zanetti, compiono la traversata dei Rochers della Brenva con la salita alla Tour de la Brenva - Gruppo della Tour Ronde - Massiccio del Monte Bianco.

 

1933 - 24 luglio. Gabriele Boccalatte e Ninì Pietrasanta; Giusto Gervasutti con Piero Zanetti,

alle Aiguilles du Diable salgono la Pointe Chaubert, la Pointe Médiane e Pointe Carmen con traversata al Mont Blanc du Tacul. - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1933 – 2/3 agosto. Giusto Gervasutti e Piero Zanetti realizzarono la 2° ascensione della Cresta Sud dell’Aiguille Noire de Peutérey.

La Cresta Sud ha un dislivello di 1100 m. ed è formata da una successione di cinque torri, con uno sviluppo in arrampicata di 1400 m. La via evita una torre più staccata (il Pic Gamba) e quindi segue fedelmente il filo della cresta (tanto che la sua relazione tecnica potrebbe essere espressa così: si segue tutto il filo della cresta lungo la linea più logica, nei tratti più difficili i chiodi indicano la via). - Contrafforti Italiani - Massiccio del Monte Bianco.

 

1933 – 14 agosto. Giusto Gervasuti e Piero Zanetti tentano lo Sperone Croz delle Grandes Jorasses raggiungendo la base della prima torre: ma sono costretti dal maltempo a ripiegare.

Mentre Piero Zanetti propendeva per scegliere come linea di salita il Costone della Walker - certamente il più bello e il più importante, che porta direttamente alla vetta principale, anche in omaggio al suo precedente tentativo - incominciavo a convincermi, come risultato delle mie osservazioni, che quello della Sperone Croz fosse più accessibile: e i fatti mi diedero poi ragione. Ma più che su una differenza di difficoltà, le mie considerazioni si basavano sul fatto che questo era più libero di neve e di ghiaccio, prendendo più sole nel pomeriggio, essendo meglio esposto a ponente…Mentre raggiungevamo la base della prima torre e la contornavamo per entrare nel couloir che porta alla seconda, un colpo di tuono ci fece alzare repentinamente la testa.....sul momento sperammo che fosse una finta ma dopo neppure un'ora le prime raffiche di grandine ci fecero comprendere che questa volta faceva proprio sul serio. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1933 – 6 ottobre. Giusto Gervasutti compie la ascensione per il versante Ovest e la Cresta Sud-Sudovest (Torre Re Alberto) alle Torri del Cameraccio, con Aldo Bonacossa. Dedicata dai primi salitori al Re Alberto I° del Belgio, appassionato alpinista, che compì numerose ascensioni nella regione. A causa dell’estrema difficoltà della placca finale, ha avuto rarissime visite.

 

1934 - 5 luglio. Armand Charlet con Robert Gréloz opera un altro tentativo per la parete Nord dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses riprendono l'itinerario di Giusto Gervasuti e Piero Zanetti: superano la seconda torre e poi si innalzano sul filo dello Sperone Croz fin sui 3600 m, più in alto dell'inizio della traversata del nevaio medio. Però Armand Charlet non aveva visto il diedro, perché si era lasciato attirare da quella cengia invitante che porta verso sinistra, a metà del nevaio medio, ed era così andato a finire proprio sullo spigolo, dove non sembra che ci sia da stare molto allegri. Questa volta Armand Charlet non aveva ceduto ad alcun sortilegio: ma dovette fermarsi, arrampicando in scarponi ferrati e senza piantar chiodi, di fronte ad «une paroi extremement abrupte, infranchissable sans procédés artificiels». - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1934 - 27 luglio. Renato Chabod e Giusto Gervasutti, salgono per il canale Ovest della Tour Ronde. La via che sale nel canale nevoso regolare e incassato rivolto al Mont Maudit. Ascensione piacevole e interessante, frequentata; canale con pendio meno ripido della parete Nord, talvolta seguito in discesa (corde doppie) dopo la salita di quella parete. Dislivello 300 m. dalla crepaccia alla vetta. Difficoltà AD. - Gruppo della Tour Ronde - Massiccio del Monte Bianco.

 

1934 – 29 luglio. Rudolf Peters, che ha alle sue spalle un’eccellente preparazione sulle Alpi Calcaree, attacca la parete Nord delle Grandes Jorasses con Peter Haringer e viene raggiunto il 30 luglio dagli italiani Renato Chabod e Giusto Gervasutti. Poi giunge anche il velocissimo Armand Charlet che supera tutti con Fernand Bellin e sale molto in alto, fino a circa 3500 metri di quota. Però improvvisamente si scatena una bufera e tutte le cordate decidono di ritirarsi, ad esclusione di Rudolf Peters e Peter Haringer che continuano imperterriti, superano il passaggio chiave fra nevaio medio e nevaio superiore, risalgono il nevaio superiore, bivaccano sulle rocce sovrastanti che però restano bloccati in parete dal maltempo, la tormenta li costringe alla ritirata. Solo il 2 agosto Rudolf Peters riesce a ritornare incolume alla base della parete, dopo di avervi passato cinque giorni e quattro notti dopo una tragica ritirata in cui Peter Haringer perse la vita. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1934 - 30 luglio. Renato Chabod e Giusto Gervasutti raggiunti da Armand Charlet e Fernand Bellin percorsero la Variante scappatoia per il Couloir Face Aux Périades nella ritirata dal loro tentativo di salita sulle Grandes Jorasses alla Pointe Croz per lo Sperone Croz. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1934 -13 agosto. Renato Chabod e Giusto Gervasutti, salgono per il versante orientale della Spalla Nord del Canalone Nord-Est e tracciano la via Gervasutti al Mont Blanc du Tacul. - Grandioso canalone di ghiaccio noto poi come Canalone Gervasutti, dall'inclinazione di 48°-50° e fino a 58° nella parte superiore, con possibili muri fra i seracchi dove il passaggio d'uscita può variare molto. In alto, dove è assai largo perché aperto a imbuto, il canalone è sovrastato da una fascia di seracchi e dall'enorme cornice sommitale. - Bella ascensione su neve-ghiaccio in ambiente grandioso, non molto ripetuta; tutto il percorso è però sempre esposto alla caduta di ghiaccio. Dislivello 800 m. Difficoltà D+/TD-. - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1935 - Luigi Binaghi e Giusto Gervasutti, salgono per lo sperone Est il Contrafforte dello Sperone Centrale in un tentativo allo Sperone Centrale Est-Nordest del Mont Blanc du Tacul. - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1935 - 1/2 luglio. Renato Chabod e Giusto Gervasutti seguiti da Raymond Lambert e Loulou Boulaz effettuano la prima ripetizione della Nord delle Grandes Jorasses che supera il Pilastro Centrale salendo alla Pointe Croz che aveva visto pochi giorni prima la vittoria dei tedeschi Martin Meier e Rudolf Peters - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1935 – 16 1uglio. Gabriele Boccalatte e Nini Pietrasanta; Renato Chabod e Giusto Gervasutti, realizzarono la 1° ascensione del Pic Adolphe salendo per lo spigolo Ovest e la parete Nord, con una bella scalata, varia ed originale in quanto inizia con una discesa. Spesso rimane neve sulla parete Nord. Difficoltà D, con passaggi di V. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1935 - 26 luglio. Giusto Gervasutti, Mario Piolti e Michele Rivero effettuano la Seconda ripetizione in salita della Cresta des Hirondelles alle Grandes Jorasses. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1936 – 23/24/25 dicembre. Il grande alpinista torinese Giusto Gervasuti compì la prima ascensione solitaria (Cresta del Leone) sul Cervino.

 

1937 - Giusto Gervasutti già da tempo i suoi occhi guardavano una parete rossa come il sangue, verticale, compatta, che si alza prepotente sopra un caos di blocchi di ghiaccio ammonticchiati. Nessuno ha mai pensato di salirla. Questa è la “sua” parete, la Parete Est delle Grandes Jorasses e con Leo Dubosc, salirono al Bivacco di Fréboudze, decisi di andare a controllare sul luogo se la bastionata della Parete Est delle Grandes Jorasses avesse qualche punto di minor resistenza, dove far breccia. Ma il tentativo alla parete si tramutò in un tentativo di giungere solamente all'attacco perché avevano avuto la malaugurata idea di prendere direttamente il ramo destro orografico del Ghiacciaio di Fréboudze. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

193817/18 agosto. Gabriele Boccalatte e Giusto Gervasutti, salgono per il Pilastro Sud-Sudovest della Punta Gugliermina aprendo la via Gervasutti-Boccalatte. Scalata molto bella ed esposta su roccia solida, ottima nei tratti più impegnativi del pilastro. Via classica, è stata per molti anni la salita in libera più difficile e verticale nel gruppo del Monte Bianco. In posto 25 chiodi, sufficienti. Dislivello 650 m. dal ghiacciaio. Difficoltà TD +, fino a V+, 1 passaggio di A1 (VII°- se in libera). - Contrafforti Italiani - Massiccio del Monte Bianco.

 

1940 - 20 luglio. Giusto Gervasutti e Emile Grange, realizzano la 1° ascensione della Pyramide des Aiguilles Grises salendo per la cresta Sud con passaggi interessanti, II e III grado. - Gruppo Bionnassay-Gouter - Massiccio del Monte Bianco.

 

1940 - 20 luglio. Henri Belfrond, Alidoro Boche, Giusto Gervasutti, Albino Pennard, salgono per spigolo e parete Est della Pyramide des Aiguilles Grises con passaggi abbastanza difficili di IV e IV+. - Gruppo Bionnassay-Gouter - Massiccio del Monte Bianco.

 

1940 - 20 luglio. Henri Belfrond, Arturo Fantolin, Giusto Gervasutti e Emile Grange, si arrampicano per parete Est (via diretta) della Pyramide des Aiguilles Grises salendo diritti su una placca quasi verticale. Sotto la punta uscirono a sinistra pochi metri sotto la cima e per rocce facili in vetta. Passaggi fino al IV grado. - Gruppo Bionnassay-Gouter - Massiccio del Monte Bianco.

 

1940 – 13 agosto. Giusto Gervasutti forse concettualmente supera se stesso e realizza un’impresa di portata storica che aprirà all’alpinismo nuovi orizzonti dopo la guerra. Con Paolo Bollini de la Pedrosa sale il Pilone Nord o di Destra del Frêney, (poi chiamato anche Pilone Gervasutti) della parete Sud del Monte Bianco, la più cruda e selvaggia della catena alpina. - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.

 

1940 - seconda metà di agosto. Giusto Gervasutti torna alla carica con Paolo Bollini a tentare di salire la Parete Est delle Grandes Jorasses, portandosi questa volta al Col des Hirondelles e di qui attraversando .per pendii ripidi all'altezza della base della parete con l'intenzione di salire direttamente fino alla gran cengia di neve, poi di piegare a sinistra in salita obliqua fino a raggiungere un diedro verticale che avrebbe dovuto permettere di superare la zona delle placche. Nella prima parte si arrampicarono veloci senza incontrare difficoltà notevoli, ma quando sbucarono sulla cengia la visione delle grandi placche rosse strapiombanti che incombono sulle loro teste smorzarono di colpo la loro baldanza Anche riuscendo ad aggirare le placche una linea di strapiombi che solca tutta la parete sembra chiudere ogni via. Non restava che provare lungo la linea obliqua di rocce rotte che portano al diedro incontrarono le prime difficoltà, costituite da due piccoli strapiombi. Alle 11 sono su un grande terrazzo, dove inizia il diedro. Ad un primo sommario esame, questi si presenta estremamente difficile ma percorribile, termina però con un tetto dal quale non si capisce bene come si possa uscire… I due salgono dunque per il diedro, con difficoltà estreme: ma il tetto si dimostra insormontabile, quindi ridiscendono al terrazzo e scoprono che una fessura verticale sull’estrema destra del terrazzo dovrebbe rappresentare la chiave della salita ma il tempo minaccioso li induce alla ritirata. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1941 - 25 settembre. Giusto Gervasutti fu sulla Furggen (Cervino) con Giuseppe Gagliardone. (via Piacenza), 4° salita e 1° senza guide.

 

1942 - 9 agosto. Giusto Gervasutti e Giuseppe Gagliardone al loro secondo tentativo di salire la Parete Est delle Grandes Jorasses si portarono sotto il canale che forma il braccio inferiore dell'Y e lì sono costretti a fermarsi per una continua gragnola di ghiaccioli e di sassi… rinunciamo così all'attacco di due anni fa e cercano di raggiungere la via di salita più in alto, traversando il canale sotto uno strapiombo dal quale scende dell'acqua, ma che protegge abbastanza dalle scariche. Raggiunto il gran terrazzo alla base del diedro, vincono la fessura alla sua estrema destra e s’innalzano forzando «la “porta proibita” dell'ingresso alla zona centrale della parete…» Continuano con difficoltà estreme, bivaccano su un terrazzino, riprendono la salita. fino a raggiungere una rientranza della roccia sotto la “torre”, una specie di sperone roccioso. Ma il tempo si mette al brutto e debbono ridiscendere, ritornando al Bivacco di Fréboudze poco dopo la mezzanotte. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

194216/17 agosto. Giusto Gervasutti ripete la Parete Est delle Grandes Jorasses (tre ripetizioni in quarant’anni!) dove si avvalse, delle straordinarie capacità fisiche e tecniche di Giuseppe Gagliardone.

(Riportiamo il loro racconto della salita): Domenica 16 agosto 1942 partenza dal Bivacco di Fréboudze alle 3 alle 6.30 siamo sul colle… Alle 8 attacchiamo, alle 11 siamo al terrazzo del grande diedro. Più oltre, i chiodi rimasti infissi ci favoriscono notevolmente. Alle 13 siamo al terrazzino del bivacco, alle 14.30 sotto la torre, al punto estremo raggiunto sette giorni fa… Sopra la torre la roccia si inclina per tre lunghezze di corda, ma poi si drizza nuovamente formando una larga fascia strapiombante che attraversa la parete in tutta la sua larghezza. E’ l'ultimo ostacolo, quello che da sotto faceva più paura…: superato questo durissimo muro, dobbiamo ancora affrontare altre forti difficoltà ed un penoso bivacco prima di uscire sui più agevoli pendii sommitali…. Continuiamo per una cengia di rocce rotte fino a raggiungere la contropendenza fra la Cresta di Tronchey e la Cresta des Hirondelles. Raggiungiamo la vetta alle 11 del 17 agosto. La meritata conquista. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1944agosto. Giusto Gervasutti e Gigi Panei, aprono una via di gran classe sulla parete Sud-Est del Pic Adolphe. La bellissima via Gervasutti che segue un diedro situato tra il settore di roccia grigia a sinistra e quello di roccia rossastra a destra. Per l’attacco si arriva sotto la parete, al suo centro. Arrampicata molto bella di 250 m, in seguito spesso ripetuta. I chiodi occorrenti sono in posto (una trentina). Difficoltà TD+, 1 passaggio di VI°. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1946 - 30 luglio. Piero Filippi e Giusto Gervasutti, tracciano una breve variante che sale nel modesto avancorpo a sinistra del canale-camino ghiacciato del Trident del Mont Blanc du Tacul da Nord-Est, per il Couloir des Aiguillettes. (l passaggio di IV+) e termina alla terrazza di sfasciumi. Senza interesse. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1946 – 1 agosto. Giusto Gervasuti e Giulio Salomone, realizzano la 3° ascensione del Grand Capucin da Ovest, per la Brèche du Grand Capucin. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1946 - 8 agosto. Paolo Bollini e Giusto Gervasutti, effettuano la 3° ascensione dello splendido pilastro della parete Est-Nordest del Mont Blanc du Tacul, (via Boccalatte). Dove questo si appiattisce si alza parallela e a sinistra la vicina Tour Carrée, mentre lo sperone riprende imponenza con la Torre Rossa e il successivo Pilastro Terminale. La via originale Boccalatte segue con intuito la linea di minor resistenza della complessa parete; con la successiva rettifica di Gaston Rébuffat sulla Torre Rossa. - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1946 - 9 agosto. Paolo Bollini e Giusto Gervasutti effettuarono la 2° ascensione della (via Cretier) sulla parete Sudest del Mont Maudit per il Versante della Brenva. Dislivello 750 m. dalla crepaccia terminale alla cima. Difficoltà D +, fino al IV grado. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1946 – 16 agosto. Carlo Arnoldi con Giuseppe Gagliardone e Giusto Gervasutti vincono la parete Est-Nordest del Petit Capucin aprendo una nuova via (via Gervasuti). - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1946 - 16 settembre. Durante un’ennesima ascensione, concludeva tragicamente a 37 anni la vita Giusto Gervasutti, detto il «fortissimo», mentre scendeva a corda doppia per sfuggire al maltempo sul Pilastro Est del Mont Blanc du Tacul che oggi porta il suo nome. (Pilastro Gervasutti). - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1948 - 24 marzo. Toni Gobbi e François Thomasset, realizzano la Prima invernale salendo la Cresta des Hirondelles alle Grandes Jorasses. - La cresta è ormai stata ripetuta diecine e diecine di volte; ai primi tre indispensabili chiodi di Adolphe Rey e Alfonso Chenoz se ne sono aggiunti altri, alle loro scarpe ferrate si sono sostituite le “vibram”, alla gran placca trasversale si sono sostituite tre varianti, col conseguente inevitabile «declassamento» della salita, che la Guida Vallot valuta di 4° con un passaggio di 5°, mentre Michele Rivero parlava nel 1935 il 26 luglio, tenendo naturalmente conto della valutazione di Giusto Gervasutti, di due passaggi di 6° (fessura Rey e grande placca trasversale). - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1951 - 29/30 luglio. Piero Fornelli e Giovanni Mauro, salgono per il Pilastro Est Pilastro Gervasutti del Mont Blanc du Tacul. Il pilastro Est, di magnifica roccia rossastra, si erge superbo a sinistra del pilastro centrale. La via lo segue quasi interamente, quindi si porta sotto la Torre Rossa e termina come la via Boccalatte. Sul pilastro l'arrampicata è molto bella e su roccia ottima, a parte la traversata obliqua finale su rocce rotte e neve, passaggio-chiave della salita. Buoni i punti di sosta; in posto circa 15 chiodi di via. L'attacco è esposto alla caduta di sassi. Dislivello 800 m, con sviluppo di circa 1000 m. Difficoltà TD+ sostenute sui 450 m. del pilastro, di IV, V e passo di V+ e A2. - In quell’occasione trovarono la piccozza di Giusto Gervasutti, morto mentre scendeva nel 1946 a corda doppia per sfuggire al maltempo sul Pilastro Est che oggi porta il suo nome. (Pilastro Gervasutti) - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1952 - 31 luglio. Arturo Ottoz (guida) con Piero Nava, salgono per lo parete Sud-Ovest e Sud del Pic Adolphe. All'inizio superarono il gran camino percorso in discesa dai primi salitori della cima, (Gabriele Boccalatte e Nini Pietrasanta; Renato Chabod e Giusto Gervasutti il 161uglio 1935), poi diedri e placche. Scalata delicata, 17 chiodi. Dislivello 180 m. Difficoltà TD, passaggi di V+ e A1. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.