Il versante italiano del Cervino non presenta linee altrettanto slanciate quanto quelle di ineguagliabile bellezza del lato Nord.
Solo da qui è possibile distinguere la struttura della vetta che è in realtà costituita da una cresta orizzontale lunga 90 metri, interrotta solo da una modesta bocchetta. Questa dorsale, a quanto ricordo la più bella del Cervino, collega la vetta svizzera con quella italiana, più bassa di 110 centimetri e sulla quale si erge una croce.
“Leone di Zermatt” è una delle fantasiose definizioni del Cervino. A mio parere questa definizione ben si addice alla minacciosa parete Ovest che sovrasta il Tiefmattengletscher ed alla cresta che sale sul suo lato destro: proprio per la Cresta del Leone sale la via normale dall’Italia.
Mentre le altre grandi montagne delle Alpi Pennine venivano regolarmente conquistate man mano che “l’età d’oro” dell’alpinismo si avvicinava al suo apice, il Cervino restava in disparte e inviolato.
Ai primi pericolosi tentativi del 1858, ne seguirono quattordici (la maggior parte dall’Italia), otto dei quali ebbero come protagonista Edward Whymper e sei Jean Antoine Carrel, guida della Valtournenche.
Nel 1862, una comitiva condotta da John Tyndall che comprendeva Johann Joseph Bennen e Jean Antoine Carrel si avvicinò al traguardo sulla cresta italiana, raggiungendo la spalla (più tardi chiamata Pic Tyndall) sotto il risalto sommitale.
La morte di Johann Joseph Bennen nel 1864 privò John Tyndall della sua guida preferita e il campo fu perciò lasciato a Jean Antoine Carrel e a Edward Whymper – uomini energici, entrambi ossessionati dalla montagna e pronti a tutto per assicurarsi la prima ascensione.
A questo punto il nazionalismo prese la mano.
All’insaputa di Edward Whymper, un gruppo di Italiani guidati dal politico Quintino Sella, disturbati dai successi stranieri sulle cime italiane, decisero che il Cervino doveva essere scalato da Italiani. Jean Antoine Carrel doveva condurre il tentativo e Felice Giordano fu incaricato di organizzare e finanziare l’impresa.
Nel giugno del 1865 Edward Whymper, con le guide Michel Croz, Christian Almen, Franz Biener e il portatore Luc Meynet, s’imbarcò in un altro tentativo, questa volta sul canalone della parte Sudest. Fallito anche questo, Edward Whymper e le sue guide si diressero al Monte Bianco dove fecero alcune importanti prime ascensioni.
In seguito Edward Whymper (rimasto senza guide perché Michel Croz era stato assunto dal Rev. Charles Hudson, mentre Christian Almen e Franz Biener si rifiutarono di seguirlo sul Cervino) ritornò al Breuil sperando di unirsi a Jean Antoine Carrel, ma fu segretamente ostacolato.
Felice Giordano scrisse a Quintino Sella: “Ho cercato di mantenere il segreto, ma quell’individuo, la cui vita sembra dipendere dal Cervino, è qui che ficca il naso dappertutto con aria sospettosa. Gli ho portato via tutti gli uomini capaci, ma è così innamorato di questa montagna che potrebbe salire con altri ed entrare in scena. E’ qui in questo hotel e cercherò di evitarlo”.
Tutti gli elementi si stavano componendo per favorire il trionfo e la tragedia e gli eventi dovevano rivelarsi con un dramma e un effetto sensazionale che stupirono il mondo.
Le guide italiane sotto Carrel partirono e Whymper apprese di essere stato fuorviato.
A questo punto incontrò Lord Francis Bouverie Douglas (appena arrivato dalla sua ascensione sull’Obergabelhorn) e i due (con Peter Taugwalder Sen. e Peter Taugwalder Jr.) decisero di organizzare un tentativo sulla cresta Hörnli finora trascurata.
Tornati a Zermatt trovarono il Rev. Charles Hudson e Michel Croz, con l’inesperto Robert Douglas Hadow, che avevano in mente lo stesso obiettivo.
I due gruppi si unirono e
scalarono la cresta il 14 luglio del 1865.
Sulla cima guardarono giù e videro la squadra di Carrel vicino alla Spalla sulla Cresta Italiana, fecero rotolare giù dei sassi per attrarre la loro attenzione in atto di incontenibile trionfalismo. Poi iniziarono a scendere, ma sul tratto più ripido, sospeso sulla parete Nord, Hadow scivolò buttando giù Croz e strappando Douglas e Hudson dai loro punti di sosta. La corda si ruppe e i quattro precipitarono trovando la morte e lasciando Whymper e i traumatizzati Taugwalder alla loro triste discesa verso Zermatt con una storia di trionfo e di tragedia che atterrì e scandalizzò il mondo.
Questi fatti sono famosi e sono stati riportati in numerosi libri, i più importati dei quali sono Scrambles among the Alps, il classico di Whymper, e Il Cervino di Giudo Rey.
L’incidente, la corda rotta e altri fattori che portano alla tragedia, sono stati analizzati per anni nei minimi particolari, sia dalla stampa popolare che nelle riviste specializzate.
Il giudizio più giusto è probabilmente quello espresso da Percy Farrar nel 1918 nell’Alpine Journal.
Egli osservò che in circostanze normali l’inesperienza di Robert Douglas Hadow sarebbe stata facilmente bilanciata dall’abilità di Charles Hudson e Michel Croz. L’errore è consistito nel legarsi in una cordata unica e nell’ordine della squadra: «La causa reale dell’incidente non fu la scivolata di Hadow e neanche la rottura della corda, ma la mancanza di coerenza nella cordata formata “casualmente”.
La grande lezione che si deve apprendere da ciò che è accaduto è che non si devono affrontare spedizioni rischiose con cordate numerose. Perfino tra gli uomini migliori si genera un falso senso di sicurezza e quasi certamente disattenzione e irresponsabilità».
Le guide italiane erano demoralizzate.
Felice Giordano spinse Jean Antoine Carrel a provare di nuovo e tre giorni dopo ( 17 luglio 1865) costui, con l’Abate Amé Gorret (o Aimé) e due camerieri di una locanda del luogo - Jean-Baptiste Bich e Jean-Augustin Meynet – scalò finalmente la montagna.
Jean Antoine Carrel e Jean-Baptiste Bich superarono la torre finale con una difficile traversata della parete Ovest fino alla cresta di Zmutt che li portò sulla cima.
I balzi rocciosi furono scalati direttamente nel 1867 dai fratelli Jean Joseph Maquignaz e Jean Pierre Maquignaz e oggi sono attrezzati con corde fisse e una scala di corda (la Scala Jordan) fornita da Leighton Jordan, il primo dilettante che seguì la via diretta.
Sia le guide italiane che quelle svizzere intuirono che la montagna scalata rappresentava una potenziale fonte di ricchezza per il turismo. Subito vennero costruiti rifugi sulle due vie e furono aggiunte corde fisse nei passaggi difficili. Le principali ripetizioni delle scalate ebbero luogo nel 1868 e da allora le guide e gli albergatori hanno fruttato regolarmente la fama della montagna la cui reputazione aumentò con la pubblicazione del libro di Whymper nel 1871.
Gli avvenimenti sensazionali relativi alla prima alla prima ascensione combinati con quell’aspetto unico che ci coglie da ogni lato, ma specialmente da Zermatt, hanno assicurato al Cervino una fama che resiste nel tempo. Secondo l’inchiesta della rivista di Monaco Alpinismus, condotta nel 1964, il Cervino è dopo l’Alpamayo e il K2 e accanto al Fitz Roy, al Monte Bianco, alle Grandes Jorasses e al Machapuchare, la più bella montagna del mondo.
Come valutare questa affermazione è una questione soggettiva, ma è fuori discussione che il Cervino trasuda potenza e stabilità, che non corrisponde purtroppo alla qualità della maggior parte delle sue scalate. Proprio sulle salite più facili si è registrato il maggior numero di vittime. Sul Cervino sono morte circa 500 persone, di cui circa 24 sulla parete Nord. Dopo bufere e nevicate la montagna presenta condizioni diverse. Spesso accade che cordate siano vittime dell’ingannevole facilità del fianco Est. Alcuni alpinisti non sono sufficientemente equipaggiati per il bivacco e muoiono per sovraffaticamento e ipotermia.
La cresta più facile è la Nordest o Hörnligrat, la via seguita durante la prima ascensione.
Un po’ più difficile, più complessa e notevolmente più interessante è la Sudovest o Cresta del Leone, la via normale italiana.
La Nordovest o Cresta di Zmutt è la più impegnativa, è lunga tre chilometri, ha una inclinazione media di 37 gradi e non è attrezzata con corde fisse; è l’unica cresta nevosa del Cervino. La ripidezza gioca solo un ruolo secondario; determinanti sono invece le condizioni che s’incontrano, specialmente sulle Placche Tiefmatten e lungo la Galleria Carrel.
Per gli alpinisti esperti, la Cresta di Zmutt è probabilmente la più bella via della montagna.
Fu scalata il 3 settembre 1879
da Alber Fredrick Mummery con le sue
guide Alexander Burgener, Johann Petrus, Gentinetta Augustin. Lungo il loro percorso incontrarono William
Penhall, Ferdinand Imseng, Ludwig (alias Luis, Aloys) Zurbrücken che
erano stati costretti dal maltempo a ritirarsi dopo un bivacco ad alta quota
sulla cresta. La comitiva di Mummery portò a termine la scalata mentre
il team di Penhall, dopo una breve sosta a Zermatt, si precipitò
di nuovo sulla montagna, ma dovette accontentarsi di una via più difficile ma
meno bella sulla parete Ovest, raggiungendo la cima solo un ora dopo la
cordata di Mummery.
A proposito di queste scalate, Alessandro Gogna nel suo «Commento sul Cervino» in Mountain 36 osservò: “Fu così che la cresta di Zmutt e la Parete Ovest caddero nello stesso giorno, ascensioni compiute con motivazioni puramente alpinistiche, non complicate da problemi di patriottismo o di utilitarismo…per me queste ascensioni sono state le più emozionanti del secolo”.
Alexander Burgener e Alber Fredrick Mummery ottennero altri successi l’anno seguente, attraversando il pericoloso Col du Lion e poi (con Benedict Venez) facendo il primo tentativo sulla cresta di Furggen.
Avendo giudicato la sezione superiore troppo difficile, si prepararono a una traversata in direzione della cresta dell’Hörnli:
«[Burgener suggerì] che avremmo dovuto bere il nostro Bouvier e
consumare il resto delle provviste anziché lasciarli ad una sorta meno
appropriata. …Ripensando a quel pasto, ho il sospetto che Burgener avesse realizzato a pieno che una comitiva allegra e
sicura di sé può schivare i sassi e attraversare danzando le placche ripide in
un modo e con un passo impossibile per uomini ansiosi e demoralizzati. Il suo
obiettivo fu perfettamente raggiunto … ci ritrovammo presto a saltare
attraverso le placche … la nostra guida non tollerava esitazioni .. il suo
“Schnell nur schnell” ci spingeva in avanti. Le schegge di ghiaccio che di
tanto in tanto colpivano le nostre teste o l’urlo di una grossa pietra che
Sfrecciava allegramente tra i vari membri della comitiva rafforzava decisamente
le sollecitazioni di Burgener».
Il 9 settembre 1911 Mario Piacenza,
con Jean Joseph Carrel, e Giuseppe Gaspard (Joseph) aprì
una difficile via sulle pareti finali (IV grado), un po’ più a sinistra del
percorso naturale della cresta che fu superato nel 1941, con una scalata
di sesto grado, da Alfredo Perino con Luigi Carrel e Giacomo
Chiara.
Da lontano essa pare offrire una delle più piacevoli scalate su buona roccia.
Al contrario, il tratto iniziale del sentiero a sinistra del filo di cresta è impegnativo con ripidi gradini ed è stesso colpito da scariche di sassi .
Lungo la «Spalla» dei cavicchi di ferro e corde fisse consentono una salita priva di difficoltà.
L’unico pericolo di questo tratto è rappresentato dalla temerarietà delle guide locali.
«La via normale del Cervino è facile… ma solo per alpinisti esperti», osserva Michel Vaucher, profondo conoscitore della montagna. La cresta vera e propria viene raggiunta solo sporadicamente.
Le tracce si interrompono vicino alla cresta del fianco Est. Più in alto ci si arrampica per la placca Moseley e lungo una costola su fino all’esposto belvedere della capanna Solvay.
Un ricco industriale di Bruxelles di nome Ernst Solvay offrì 20.000 franchi per la costruzione.
Nel 1917 fu realizzato il primo rifugio, un po’ più in basso di quello odierno.
Salendo lo si vede già quando si è a tre quarti d’ora di distanza.
Quando vi si giunge si è superata la quota dei quattromila metri. Il terreno diventa più ripido. La successiva Placca Moseley superiore, ricorda l’americano Moseley che qui precipitò per essersi staccato dalla corda.
Come tappa successiva si aggira la Rote Turm da sinistra. La cresta sale alla spalla. Al di sotto vi è un precipizio di 1000 metri.
Sono disponibili corde fisse e sbarre di ferro come fermi punti di assicurazione. Una placca a volte ghiacciata è perfino attrezzata persino con una catena.
In questo punto attraversarono i primi scalatori della parete e proprio qui nel corso della discesa si verificò la sciagura.
Michel Vaucher, nel suo libro Le Alpi Pennine, scrive che «la via normale alla vetta del Cervino è “fafile”, ma solo per alpinisti che siano ben preparati per essa».
La situazione dei rifugi sulla Cresta del Leone dalla parte italiana è ancora più problematica di quella sul versante svizzero.
Il Rifugio Luigi Amedeo di Savoia ha 16 posti letto e il Rifugio Carrel, realizzato nel 1969 dall’Associazione delle Guide del Cervino (e spesso da loro occupato), dispone di 45 brande nelle sue due camerate.
Il Rifugio Duca degli Abruzzi con 40 letti si trova a quattro ore di cammino più sotto.
La Cresta del Leone, sebbene mostri la miglior struttura rocciosa di tutte le creste del Cervino, è più impegnativa dell’Hörnligrat, anche a causa degli accessi con pericolo di caduta sassi. Lungo la cresta, nei punti che lo richiedono sono state fissate delle corde, già nel tratto che sale ai rifugi dal Colle del Leone.
Lungo la «Scala Jordan» a 4400 metri è appesa una scala di corda aggiuntiva che tuttavia, come tutte le corde isolate, non appare particolarmente affidabile, sebbene tutto il materiale venga controllato regolarmente dall’Associazione delle Guide di Cervinia e sia stato sostituito nel 1987. Senza queste attrezzature ausiliarie la Cresta del Leone richiederebbe un’arrampicata libera di III grado.
Poco dopo aver lasciato il rifugio ed aggirato la Grande Torre nei pressi dei resti di legno marciti di un vecchio rifugio, si trova la prima corda (della sveglia) che facilita la salita di un ripido gradino.Lungo la Crête du Coq (Cresta del Gallo) si aggirano le torri di destra percorrendo delle cenge fino al Mauvais Pas, la cui traversata viene facilitata da una corda.
Dappertutto si trovano qui incise nella roccia le iniziali di Jean Antoine Carrel (C.J.A.) ed Edward Whymper, i due alpinisti rivali nell’aggiudicarsi la prima scalata.
Il lato sinistro del linceul, una piccola area rettangolare di neve che va sempre più riducendosi, costituisce il percorso di collegamento alla Grande Corde (corda di Tyndall) lunga 30 metri.
Sulla «Cravatta», una cengia bianca che circonda la parte superiore della spalla, si arroccava il primo rifugio realizzato sul Cervino (1867).
Il Pic Tyndall si trova a 2 ore e mezzo, tre ore di cammino, forse anche di più considerando i tempi di sosta lungo le corde.
La Cresta Tyndall sulla spalla permette il collegamento all’attacco finale della vetta ed è sempre più stretta ed esposta fino all’Enjambée.
I primi scalatori traversarono in direzione del terrazzino del Col Félicité a sinistra sopra la Galleria Carrel e passando per la parete Ovest raggiunsero la Cresta Zmutt e salendo lungo questa, la vetta.
Oggi ci si serve delle corde della «Scala Jordan», si sale poi ancora lungo delle funi prima di raggiungere la vetta italiana.
La maggior parte delle vie sulle pareti del Cervino si svolgono su terreno friabile e pericoloso.
Uno straordinario pioniere fu il minuto Luigi Carrel, la guida che prese parte a sei prime ascensioni tra il 1931 e il 1953.
Le sue scalate più importanti furono la diretta della parte finale della Cresta di Furggen (1941) e i 1200 metri della Parete Sud che scalò con Benedetti e Maurizio Bich il 15 ottobre del 1931.
Enzo Benedetti fece una descrizione della via:
«Qui [avevamo percorso un terzo della via] scoprimmo di esserci sbagliati nel giudicare questa via al sicuro dalle scariche di sassi, i segni che trovammo sulla via non lasciavano dubbi. …Col sorgere del sole i sassi cominciarono a cadere sistematicamente e per dieci ore fummo afflitti dalla loro compagnia. Eravamo costretti ad avanzare facendo rotta precipitosamente verso grandi macigni o altri ostacoli che potessero fornirci un riparo. Ma i sassi furono gentili con noi, cadevano soltanto a intervalli regolari permettendoci così di passare tra un rovescio e l’altro».
I pendii più in alto, essendo più ripidi, fornirono loro maggiore protezione e alle 18 giunsero sulla cima portando a termine una scalata rischiosa che d’estate sarebbe stata probabilmente un’impresa suicida.
Il percorso originale della Parete Nord, scalato per la prima volta tra il 31 luglio e il 1° agosto del 1931 dagli studenti d’ingegneria Franz Schmid e Toni Schmid di Monaco, è probabilmente la più importante e popolare via di parete.
A quel tempo alcuni esperti considerarono l’impresa molto audace e anche avventata, ma fu anche riconosciuto che rappresentava una tappa fondamentale nella conquista di una delle più grandi pareti Nord delle Alpi.
I due alpinisti dovettero combattere con una scalata mista faticosa ed estremamente difficile, certamente altrettanto difficile, e se possibile anche di più, di quella compiuta da Willy Welzenbach e Tillmann sulla Fiescherwand.
Dopo 34 ore sulla parete, con un bivacco in piedi, giunsero sulla cima in piena tempesta elettrica. Seguirono altre tempeste e dopo una discesa eccessivamente lenta raggiunsero il Rifugio Solvay dove aspettarono altre 36 ore prima di poter completare la discesa senza correre rischi.
La prima ascensione completa invernale della via Schmid il 3 e 4 febbraio 1962 da parte degli svizzeri Paul Etter e Hilti von Almen, degli austriaci Erich Krempke e Leo Schlömmer, dei tedeschi Werner Bittner, Rainer Kauschke e Peter Siegert riempì le colonne dei giornali. A Werner Bittner furono amputate le dita dei piedi in seguito a congelamento.
1963 - 11 agosto. Andrea
Mellano si arrampicò sulla Nord del Cervino con Giovanni Brignolo,
Giuseppe Castelli e Romano Perego.
1963 - Andrea Mellano e Romano Perego salgono lo Sperone Walker sulla Nord delle Grandes Jorasses. - A ventinove anni Romano Perego e Andrea Mellano sono i primi due alpinisti italiani ed europei dopo Gaston Rébuffat (con l’austriaco Leo Schlommer ad aver salito le Tre Grandi Nord delle Alpi. Eiger, Cervino e la Punta Walker delle Grandes Jorasses. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.
1965 - Per il centenario della prima scalata, dal 18 al 22 febbraio, il trentaquattrenne Walter Bonatti percorre in solitaria un nuovo itinerario sulla Parete Nord.
In occasione dell’anniversario le poste svizzere emisero un francobollo speciale raffigurante il Cervino. Il peso delle cartoline di saluti superò la tonnellata.
Anche gli anni successivi non furono privi di avvenimenti eccezionali. Si sentì parlare di temerarie discese con gli sci lungo la parete Est.
Non mancarono anche nuove vie, come quella a tutt’oggi più difficile a destra della Parete Nord lungo il Naso di Zmutt, percorsa per la prima volta da Leo Cerruti e Alessandro Gogna fra il 14 e il 17 luglio 1969.
Fenomenale l’impresa della guida ventiquattrenne Christophe Profit di Chamonix il 25 luglio 1985:
La Parete Nord in solitaria partendo a mezzanotte ed impiegando quattro ore. Accanto alla Hörnlihütte attende un elicottero.
Il «velocista» vola verso la Kleine Scheidegg, per affrontare la parete Nord dell’Eiger. In appena 8 ore Christophe Profit supera con condizioni avverse l’Eigerwand e poi prosegue verso la zona del Monte Bianco.
Inizio della scalata delle Grandes Jorasses alle 19,30. Il «velocista» non dorme da quattordici ore. Mezz’ora prima di mezzanotte avviene l’uscita.
Questo è il resoconto: - tre lunghe vie su pareti Nord in 24 ore, impresa che la rivista francese Vertical giudicò «Il crimine del secolo».
Un anno più tardi dopo Christophe Profit ripeté la tripletta in inverno e in senso contrario.
Nel 1997 il gruppo chimico svizzero Lonza donò un nuovo rifugio alle guide di Zermatt, che fu costruito alla base della Cresta di Zmutt.
Il vantaggio si trasformò in oltraggio quando si venne a sapere che le guide stavano per attrezzare questa bella via: era sentimento comune che la cresta dovesse restare allo stato naturale.
Le guide sostennero di progettare solo «modesti cambiamenti», pochi ancoraggi sopra il rifugio e alcune protezioni sulla Galerie Carrel, che talvolta è troppo impegnativa per i clienti. Il fatto è che tutte le grandi montagne nei dintorni hanno passaggi impegnativi sulle loro vie normali. Se si ammettono cambiamenti sulla Cresta di Zmutt, anche le altre potrebbero essere oggetto di iniziative commerciali simili a quelle che hanno alterato le creste dell’Hörnli e del Leone, la cresta Mittellegi e dell’Eiger e la via normale al Dente del Gigante?.
1865 - 29 giugno. La prima ascensione dell’Aiguille Verte riuscì ad Edward Whymper, Christian Almer e Peter Biner, lungo il Couloir Whymper (come poi verrà chiamato in seguito). (Via normale dal versante di Talèfre). Nell’ascesa la cordata lo aveva percorso per un breve tratto, e proseguirono poi sulle rocce a sinistra, salendo infine alla vetta lungo la Cresta del Moine. - Questa fu l’ultima grande ascensione di Edward Whymper prima della tragedia del Cervino e fu anche una delle più importanti prime ascensioni della lunga e brillante carriera di Christian Almer. - Settore dell’Aiguille Verte - Alpi Francesi - Alpi Graie - Massiccio del Monte Bianco.
1977–1978 – Ivan Ghirardini in un solo
inverno è riuscito a portare a termine l'impresa che può essere
considerata come la più bella della sua carriera, inanellando una dopo l'altra,
per la prima volta nella storia dell'alpinismo, le ascensioni delle tre grandi
pareti Nord delle Alpi. La
prima a essere percorsa è stata la Via
Schmid sulla parete Nord del Cervino durante il mese di
dicembre, seguita dallo Sperone
Croz sulla Nord delle Grandes
Jorasses dal 7 al 9 gennaio; infine, ultima della serie, ha salito
la via classica del 1938 sulla
parete Nord dell'Eiger.
Per potere giudicare in maniera appropriata la sua avventura invernale, occorre
considerare le profonde implicazioni psicologiche connesse a un'impresa di
questo genere, e rammentare le pessime condizioni meteorologiche e
dell'innevamento sulle Alpi durante quell'inverno. - VEDI: TABELLA
- “Velocità e Concatenamenti Sportivi”.
1985 - 25 luglio. Christophe Profit riapre la corsa sulle tre grandi Nord e realizza il suo progetto da fantascienza di concatenarle in giornata: - 4 ore per il Cervino, 6 ore e 45 minuti per Eiger, poco più di 4 ore per il “Linceul” delle Grandes Jorasses. Per gli spostamenti usa l’elicottero.
Fenomenale l’impresa della guida ventiquattrenne Christophe Profit di Chamonix.
La parete Nord del Cervino in solitaria partendo a mezzanotte ed impiegando quattro ore. Accanto alla Hörnlihütte attende un elicottero.
Il «velocista» vola verso la Kleine Scheidegg, per affrontare la parete Nord dell’Eiger.
In appena 8 ore Christophe Profit supera con condizioni avverse l’Eigerwand e poi prosegue verso la zona del Monte Bianco.
Inizio della scalata delle Grandes Jorasses alle 19,30.
Il «velocista» non dorme da
quattordici ore. Mezz’ora prima di mezzanotte avviene l’uscita sulla Punta
Walker. Questo è il resoconto: tre lunghe vie su pareti Nord
in 24 ore. Impresa che la rivista francese Vertical giudicò «Il crimine
del secolo». - VEDI: TABELLA - “Velocità e Concatenamenti Sportivi”.
1989 – luglio. Patrick Gabarrou, per continuare la serie delle pareti celebri, sale il Naso di Zmutt sulla Nord del Cervino, a destra dell’itinerario di Piola-Steiner. Lo accompagna ancora una volta il fortissimo Francois Marsigny.
1993 – La britannica Alison Hargreaves
sale da sola in 2 ore e 30 minuti il “Linceul”
sulla Nord della Punta
Walker alle Grandes
Jorasses, la parete Nord del Cervino in 5 ore e 30 minuti, la
parete Nord-Est dell’Eiger,
la Nord-Est al Pizzo
Badile via Cassin in 2 ore e
30 minuti, la via Allain al Petit
Dru la via Comici alla Cima Grande di
Lavaredo, nella stessa estate impiegando in totale 23 ore e 30 minuti. - VEDI: TABELLA
- “Velocità e Concatenamenti Sportivi”.