Angelo Dibona non fu soltanto la guida dolomitica più famosa della sua epoca, ma anche, insieme a Paul Preuss, l’alpinista più importante del periodo immediatamente precedente la prima guerra mondiale.
Lo ammiravano sia Michele Bettega, Antonio Dimai, Luigi Rizzi – tutte guide stimatissime – che Paul Preuss. Nessun altro riuscì ai suoi tempi a compiere tante e così grandiose prime ascensioni. Della sessantina di prime ascensioni che portano il suo nome, ricorderemo solo qualcuna delle più importanti:
1908 – Parete Ovest della Roda di Vael, nel Catinaccio (Parete Rossa).
1909 – Spigolo Nordest della Cima Grande di Lavaredo.
1910 – Parete Nord della Cima Una.
1910 – Parete Ovest del Sass Pordoi.
1910 – Parete Sudovest del Croz dell’Altissimo.
1910 – Spigolo Nordovest dell’Oedstein.
1911 – Parete Nord del Sassolungo.
1911 – Parete Nord della Lalidererspitze.
1911 - Parete Sud della Punta Grohmann.
1911 – Salita alla Lalidererwand.
1911 - Parete Nord della Lalid, 900 metri, roccia calcarea, ancora oggi V° grado.
1912 – Parete Sud della Meije.
1912 – Parete Sud della Tofana di Rozes.
1912 – Salita al Pan di Zucchero.
1913 – Salita alla Torre Leo, gruppo dei Cadini di Misurina.
1913 – In solitaria l’ardito campanile che porta il suo nome (Campanile Dibona) nel gruppo del Cristallo.
1913 - Parete Nord-ovest del Dom de Neiges des Ecrins, alta più di mille metri
1913 - Lo spigolo Est-nord-est della Dent du Requin, nel gruppo del Monte Bianco.
1913 – Realizza una salita di rilievo all’Aiguille du Plan da Sudest, nel gruppo del Monte Bianco.
1913 - Angelo Dibona e Guido Mayer e Max Mayer tentarono senza successo la Cresta Sud dell’Aiguille Noire.
1932 – Ripetizione dello Spigolo Nordovest dell’Oedstein.
1933 – Ripetizione della sua via alla Parete Nord della Cima Una.
Quasi tutte le “vie Dibona” sono elegantissime ed esigono non solo grandi doti tecniche, ma anche una notevole capacità di resistenza da parte dell’alpinista. Il tracciato è sempre perfettamente adeguato alla natura della roccia, e quasi mai si sono rese necessarie modifiche successive.
Angelo Dibona nacque a Cortina nel 1879. Aprì perciò le sue vie più significative in un’età in cui molti alpinisti hanno già portato a termine le loro prestazioni migliori.
Durante la prima guerra mondiale, combatté dapprima nei gruppi della Presanella e dell’Adamello, dove si vide assegnare la grande medaglia al valore d’argento, la piccola d’argento, e la medaglia di bronzo, la croce al merito con la corona, la croce delle Truppe di Carlo e altre onorificenze (secondo quanto gentilmente comunicato dalla guida alpina Franz Wenter a Tiers). In seguito, insieme a Eduard Pichl, Jahn, Barth, Franz Wenter e altri, fu trasferito al “Reparto addestramento e di riserva alpini”; durante questi corsi di formazione, compì imprese talvolta straordinarie, come la scalata di tutte le vette del Sassolungo, ripetendo pressoché tutte le vie, in equipaggiamento da pattuglia, ossia con fucile e tutto il resto e con le scarpe chiodate ai piedi!.
Terminata la guerra, Dibona riprese il suo lavoro di guida. Nel 1932 rifece ad esempio l’ascensione dello spigolo dell’ Oedstein, che grazie alla variante introdotta da Preuss e all’impiego di parecchi chiodi gli riuscì assai più facile che nel 1910, e nel 1933 ripeté la sua via sulla parete Nord della Cima Una.
Questo fu quanto scrisse il dottor professor Karl Mägdefrau sulla Österreichische Alpenzeitung per il sessantesimo compleanno di Angelo Dibona. Mägdefrau aveva incontrato Dibona in quattro occasioni e nel 1935 effettuò la terza ripetizione dell’itinerario che porta il suo nome sulla Parete Sudovest del Croz dell’Altissimo, nel gruppo di Brenta.
Anche Luis Trenker, che aveva incontrato Angelo Dibona nel 1911, lungo la via da lui aperta sulla parete Sud della Punta Grohmann, nel 1912 sulla Tofana di Rozes e nel corso della prima guerra mondiale alla Regensburger-Hütte, aveva stretto amicizia con la grande guida.
In un elogio funebre scritto nel ventesimo anniversario della sua morte («Der Bergsteiger», dicembre 1976), Trenker definì Dibona «una figura unica nella storia dell’alpinismo». Questo grande scalatore aprì importanti vie prima e dopo la guerra. «L’epoca d’oro dell’alpinismo ebbe fine con il 1918. I turisti divennero scarsi e i guadagni diminuirono. Ciò nonostante Dibona compì ancora varie prime salite, tra cui lo spigolo Nord della Torre Fanis, la parete Sud della Tofana di Rozes e aprì alcune vie nelle Alpi Giulie. Ascoltavo spesso i suoi racconti. Aveva conosciuto Preuss, era stato spesso con il giovane Dulfer nel gruppo dei Cadini di Misurina, quando questi aveva scalato la Torre del Diavolo ed egli salì la Torre Leo e in solitaria, l’ardito campanile che porta il suo nome (Campanile Dibona) nel gruppo del Cristallo. Era in buoni rapporti con Franz Nieberl, Tita Piaz, Renato Apollonio, Agostino Verzi, Hans Fiechtl, Sepp Innerkofler, Julius Kugy e Adolf Witzenmann, suonava la chitarra e il clarinetto, era un fervente cattolico, aveva sette figli, quattro femmine e tre maschi, tra cui Ignazio, che sarebbe divenuto il suo successore e che morì nel 1942 ucciso da una valanga nel gruppo del Gran Sasso, mentre faceva l’istruttore di sci».
Chi accusa Dibona di essere stato un «pintachiodi» travisa la storia dell’alpinismo. Secondo quando da lui stesso precisato, in tutta la sua vita ne conficcò solo quindici, di cui sei sulla Lalidererwand, tre sullo spigolo dell’Oedstein, due sul Croz dell’Altissimo e uno sulla Cima Una.
Tra le prime ascensioni da lui compiute, la più difficile era a suo giudizio la parete Sud della Meije, da cui precipitarono prima della sua impresa del 1912 - Emil Zsigmondy (6 agosto 1885) e dopo Emil Solleder (30 giugno 1931).
Difficile, sempre a suo giudizio lo spigolo Nord-est della Dent du Requin, la parete Nord dell’Ailefroide, tutte e tre nel Delfinato, nonché la Parete Nord della Cima Una nelle Dolomiti di Sesto. A quanto si racconta, la famosa guida alpina Sepp Innerkofler gli promise una volta cento corone d’argento se fosse riuscito a riportare a valle l’anello di corda dal punto in cui lo stesso Innerkofler era stato costretto a ritirarsi, considerando assolutamente impossibile scalare quella gigantesca parete. Dibona vinse la sfida e portò così a termine la prima salita della parete Nord della Cima Una.
Egli compì le prime ascensioni solo a un’età relativamente avanzata. Possedeva del resto quel particolare istinto che solo gli uomini cresciuti fra le montagne riescono a sviluppare. Era in grado di individuare il tracciato più logico di una scalata dalla conformazione delle pareti e non aveva bisogno di alcuna relazione. La letteratura alpina lo interessava poco, e preferiva affidarsi alla natura e all’istinto. Il suo fiuto per i pericoli – caduta di massi, valanghe, bufere – gli consentiva di superare felicemente molte situazioni critiche. Nonostante i suoi successi alpinistici, Angelo Dibona non rinnegò mai le sue origini contadine. Era uno scalatore che andava tranquillamente per la sua strada, e resterà certamente una delle grandi figure della storia dell’alpinismo.
Da: Storia dell’alpinismo Europeo
I “Manuali del Club Alpino Italiano”
Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo
Fabio Masciadri – 1989 Pag.81.
Al contrario di Tita Piaz, Angelo Dibona fu una tipica guida tradizionale.
Fedele ai suoi clienti accettò modestamente la sua condizione di professionista; non scrisse, non discusse e non polemizzò sui suoi sistemi di arrampicata.
Sul piano alpinistico però le sue ascensioni lo pongono senz’altro al livello dei massimi arrampicatori del suo tempo
Con i suoi fedeli clienti (i fratelli Mayer) vinse alcune delle maggiori pareti delle Dolomiti.
Soprattutto le sue vie sulla parete Nord della Cima Uno (1910)
La Sud –ovest del Croz dell’Altissimo (1910)
E la Lalidererwand (1911), lasciando stupefatti. Decisamente allora era impossibile fare di più; il quinto grado fu da Dibona tranquillamente raggiunto e superato.
Oltre le Dolomiti e i gruppi calcarei tedeschi conobbe le Alpi Occidentali, soprattutto il Delfinato dove si recò, sempre con i Mayer, per due anni di seguito (1912 – 1913) scalando per primo a Sud della Meije, il Pan di Zucchero e la parete Nord-ovest del Dom de Neiges des Ecrins, alta più di mille metri
Angelo Dibona fu un alpinista completo e veramente moderno; usò senza esitazione i chiodi e le tecniche più avanzate e fu uno dei primi alpinisti a concepire l’ascensione come una linea retta, la più breve possibile.
Con Preuss e Dulfer, Dibona si distingue nettamente dai suoi contemporanei per abilità e tecnica.
Si può considerarlo come il migliore alpinista in lingua italiana della sua epoca.
Da: La Morte del Chiodo
di Emanuele Cassarà
Pagina 41.
Da: La Storia dell’alpinismo.
di Gian Piero Motti
Volume 1.
Pagina /236/237/
238/239/240/241.
Angelo Dibona, unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi alpinisti che siano esistiti, il primo che seppe dar dimostrazione di completezza assoluta., realizzando imprese di prim’ordine sia nelle Dolomiti che nelle Alpi Occidentali.
Angelo Dibona era un vero e proprio fuoriclasse, un artista dell’arrampicata su roccia.
Un giorno gli fu chiesto quanti chiodi aveva adoperato ed egli rispose: “Oh, pressappoco quindici!”.
L’interlocutore gli chiese allora se quei pochi chiodi fossero stati usati durante una sola ascensione, ma Dibona candidamente rispose: “Oh, no, in tutto”.
Dunque Angelo Dibona è sinonimo di arrampicata libera. Ed egli è una delle prime e pochissime guide ad assumere (come anche Tita Piaz) iniziativa personale, realizzando imprese per proprio conto, anche se in quasi tutte le sue ascensioni fu fedele guida dei fratelli Guido e Max Mayer, con i quali tuttavia aveva rapporti più di amicizia che di “lavoro”.
Il quarto uomo del gruppo è la guida Luigi Rizzi della Val di Fassa, anch’egli arrampicatore di rara bravura.
Ma cosa sorprendente in Angelo Dibona è il coraggio nell’affrontare pareti di aspetto decisamente insuperabile, dove nessuna via ancora era stata tracciata e dove più tardi si salirà solo con largo impiego di mezzi artificiali. E’ il caso della Parete Rossa della Roda di Vael (Catinaccio):anche se l’itinerario di Dibona è un po’ laterale rispetto al centro della parete, la sua salita del 1908 con Edward Broome, Corning e Agostino Verzi resta un evento di importanza storica.
E’ il caso della parete Nord della Cima Una, 800 metri, dove Dibona realizzò un impresa quasi leggendaria, superando difficoltà di V° grado senza mezzi artificiali.
O ancora la parete altissima ed impressionante della Parete Sud-ovest del Croz dell’Altissimo (Brenta) dove Dibona, sempre senza ausilio artificiale, superò addirittura tratti di V° grado superiore!. Su questa parete, alta 1000 metri, Dibona realizzò veramente il capolavoro: peccato che la sua via non verrà ripetuta con la stessa purezza di stile ( se si esclude la prima ripetizione del grandissimo Preuss), ma si ricorrerà a molti chiodi dove il cortinese era passato esclusivamente in libera.
Per altri il suo capolavoro è invece la salita della parete Nord del Laliderer (Karwendel), alta 900 metri e di roccia friabile, la prima via aperta su questa immensa parete, sulla quale in seguito solo i più grandi fuoriclasse austriaci dell’arrampicata libera, come Ernst Krebs, Mathias Rebitsch e Hermann Buhl, sapranno esprimersi realizzando imprese che forse nel suo genere non saranno eguagliate.
Comunque la sua via anche oggi è giudicata con il più grande rispetto dagli alpinisti ed egli resta uno dei pochissimi italiani ad avere aperto vie sui monti austriaci in quel periodo.
Interessante è anche la sua via aperta sullo spigolo che si affaccia sulla parete Nord della Cima Grande di Lavaredo, non tanto per le difficoltà superate, probabilmente inferiori a quelle realizzate in altre imprese, ma perché costituisce il primo avvicinamento e la prima “presa di contatto” con la parete Nord di questa montagna, in cui aspetto e le cui difficoltà all’epoca erano insormontabili.
Ancora prima di Giusto Gervasuti e di Riccardo Cassin, Dibona fu il primo dolomitista a trasferire le sue azioni nelle Alpi Occidentali, con risultati di grandissimo valore.
Risultati che furono certamente apprezzati, ma che destarono anche critiche dagli ambienti occidentali e soprattutto inglesi, i quali si mostrarono preoccupati per il timore che questo genere di scalate degenerasse in “una specie di funambolismo!”.
Tra le realizzazioni più significative, spiccano la salita della parete Sud della Meije, dove era caduto il grande Zsigmondy, alcune magnifiche ascensioni nel gruppo degli Ecrins, la Cresta Nord dell’Ailefroide, montagna severa, poderosa e complessa, e la prima salita di una guglia granitica e vertiginosa, detta ora “Guglia Dibona”, per quanto concerne il massiccio del Delfinato.
Incisiva fu anche l’attività svolta nel Gruppo del Bianco, dove soprattutto spiccano due salite di rilievo: l’Aiguille du Plan da Sudest e la cresta Est-nord-est della Dent du Requin, una magnifica arrampicata su roccia, divenuta oggi una classica del massiccio.
Certo l’attività alpinistica di Dibona non si arresta all’elenco di queste poche imprese più significative, anche perché il cortinese praticò l’alpinismo fino a tarda età, avviando i figli alla stessa passione e dimostrando di essere un “uomo della montagna” nel senso più compiuto della parola. Più che altro, in questa analisi breve e sintetica si è cercato di mettere a fuoco l’importanza di Dibona e ciò che egli seppe esprimere nella storia dell’alpinismo: purezza di stile nella realizzazione, completezza su ogni terreno alpino, coraggio di affrontare pareti al tempo giudicate insuperabili.
Basta citare ancora una volta come esempio la famosa via aperta sulla parete del Laliderer, giudicata anche dagli austriaci come la più grande e difficile scalata su roccia realizzata in quell’epoca.
Ma anche sul terreno delle Alpi Occidentali, la dimostrazione del suo valore e della sua bravura era stato palese: la via del 1913 aperta lungo il grande couloir della parete Nord-ovest del Dome de Neige des Ecrins parve a Guido e Max Mayer ancora più difficile delle altre imprese realizzate prima. Va detto però che la salita fu compiuta con pessime condizioni di tempo, ma malgrado ciò non fu utilizzato nemmeno un chiodo.
Il commento della guida francese, redatta da Lucien Devies, dice: “Fu l’ultimo ed allo stesso tempo il più importante dei tre exploits realizzati dalla cordata Dibona-Mayer nel Delfinato…E’ una grande salita a carattere misto in un ambiente molto severo. La parte nevosa, costituita dal grande couloir della parete, è sotto la minaccia costante di scariche di sassi… Nella parte superiore rocciosa, la scalata è esposta e la roccia è molto friabile”.
Ma anche la salita compiuta sulla cresta della Cote Rouge all’Ailefroide fu impresa magnifica e di polso, la prima realizzata su questo versante estremamente selvaggio e tipicamente occidentale.
Lo stesso discorso vale per la Parete Sud della Meije, il terzo grande successo di Dibona e Mayer in Delfinato.
Questo è ancora il commento di Lucien Devies: “ Raggiungere la cresta sommitale della Meije per il versante Sud era un problema che gli alpinisti si erano posti ben prima della guerra del 1914.
Basti pensare che proprio tentando questa via, il 6 Agosto 1885, con O. Zsigmondy e Karl Schulz, Emil Zsigmondy cadde e si uccise.
In un tentativo solitario, nel 1911, Jean De Rufz de Lavison si uccise più o meno nello stesso punto.
Così il successo del 1912 nella zona fece l’effetto di un colpo di tuono.
Già celebre per le sue realizzazioni nelle Alpi Calcaree del Nord e delle Dolomiti, la cordata Austriaca – Italiana riuscì in una delle più grandi imprese compiute prima del 1914: non si dimentichi, oggi, che pur avendo esperienza dei primi chiodi moderni, la cordata in questa salita non ne usò alcuno.
Angelo Dibona (1879 - 1957), tipica guida tradizionale. Fu un alpinista completo e veramente moderno, uso i chiodi e le tecniche più avanzate e fu uno dei primi a concepire l’ascensione come una linea retta, la più breve possibile. Le sue vie sono fra le più belle delle Dolomiti.
Parlando di Angelo Dibona si è sempre detto “italiano”, ma è necessaria una precisazione, più che altro necessaria in un discorso con pretese storiche e non certo per ridicoli motivi nazionalistici: Dibona nacque austriaco e solo dopo la Prima Grande Guerra divenne italiano. La specificazione è necessaria, in quanto molti scrittori di montagna, parlando del periodo prima della Prima Grande Guerra, citano tra le guide italiane unicamente personaggi come Piaz, Andreoletti e Jori e non Dibona, in quanto, anche se il discorso pare ozioso, ancora.....non era italiano, bensì austriaco. Ed è per questo che su molti testi si legge che Tita Piaz fu la più grande guida italiana di quel periodo e l’unica che aprì vie nuove in numero notevole sulle Dolomiti.
Dibona si può considerarlo come il migliore alpinista di lingua italiana della sua epoca.
Nel 1908 Angelo Dibona trovò una via di salita sulla Parete Rossa della Roda di Vael, 450 metri, IV° grado. Sperimentò l’uso dei chiodi e vinse la parete Nord della Cima Una, 800 metri, V°, con Luigi Rizzi; poi la Parete Sud-ovest del Croz dell’Altissimo (Brenta) - (V° grado superiore) ma senza chiodi. “La più dura delle Dolomiti per un certo tempo”.
1909 – Il 16 agosto, la guida ampezzana Angelo Dibona ed Emil Stübler salgono l’elegante spigolo Nord-est della Cima Grande di Lavaredo, oggi ripetutissimo.
Queste salite indicano che oramai si cominciano a prendere in considerazione le strapiombanti muraglie settentrionali. Ma i tempi non sono ancora maturi.
1910 – 16 agosto. Angelo Dibona con la guida Luigi Rizzi, Guido Mayer e Max Mayer salgono per primi la parete Sud-Ovest del Croz dell’Altissimo. - Sottogruppo della Gaiarda e dell’Altissimo. Un'impresa che fece epoca per le difficoltà che arrivavano al V° grado superiore. - Gruppo di Brenta – Dolomiti di Brenta.
1911 - Angelo Dibona superò con “alcuni chiodi”, con i fratelli Guido e Max Mayer e la guida Luigi Rizzi la parete Nord della Lalid, 900 metri, roccia calcarea, ancora oggi V° grado.
Angelo Dibona venne nelle alpi Occidentali, superò la Sud della Meije (1912).
Lo spigolo Est-nord-est della Dent du Requin (1913).
Il Pinnacolo (Dibona) nel Delfinato e la vetta centrale dell’Ailefroide per lo spigolo Nord.
1913 - Angelo Dibona e Guido e Max Mayer tentarono senza successo la Cresta Sud dell’Aiguille Noire, salirono fino alla parete della 2° torre (Bifida) da dove scesero per maltempo.
1913 - estate. Guido Mayer con Angelo Dibona praticarono la 2° discesa per la cresta Nord dell’Aiguille de la Brenva. - Gruppo della Tour Ronde - Massiccio del Monte Bianco.
1914 - 10 luglio. Guido Mayer con Angelo Dibona furono i primi a salire la quarta guglia dell’Aiguilles Rouges du Brouillard dal versante Sud, scendendo poi dal versante Ovest per un canale che si abbassa dalla forcella fra i due gruppi di guglie stretto e incassato, con un gran salto a metà. - Contrafforti Italiani – Massiccio del Monte Bianco.
1930 - 26/27 agosto I tentativi di salita per la Cresta Sud dell’Aiguille Noire de Peutérey furono avvincenti e ricchi di storia, la salita riuscì finalmente a due giovani alpinisti di Monaco Karl Brendel e Hermann Schaller.
I tentativi iniziarono con l’ascensione del Pic Gamba di Paul Preuss con il Conte Ugo di Vallepiana nel 1913, e sempre nel 1913 la cordata Angelo Dibona, Guido Mayer e Max Mayer salirono fino alla parete della 2° Torre (Punta Bifida) da dove scesero per maltempo; E. Allwein e Willy Welzenbach nel 1925 salirono fin sulla 3° Torre (Punta Welzenbach). Poi si spinsero più in alto le guide di Courmayeur: Laurent Grivel, Arturo Ottoz e Osvaldo Ottoz, i primi due anni anche con Albino Pennard (nel 1928, 1929 e 1930) fino all’ultimo risalto della Punta Brendel; essi scesero anche dalla vetta esplorando fino alla 5° Torre (Punta Ottoz). Nel 1930, senza tentativi, la salita riuscì a Karl Brendel e Hermann Schaller. - Contrafforti Italiani - Massiccio del Monte Bianco.