Ignorava leggi e frontiere, era un personaggio del tempo andato o del tempo a venire, amava la vita appassionatamente, era amico di tutti gli uomini, ma senza legami o costrizioni particolari. Gary pretendeva di essere senza età. Per la verità, Gary Hemming, avrebbe voluto esistere tra gli uomini senza subire la società dei consumi, le periferie sotto cieli grigi, gli orizzonti ristretti. Avrebbe voluto attraversare la grande mandria umana senza integrarvisi.
E la strada che aveva scelto non era la più facile.
Non si sa bene cosa rappresentasse per lui la montagna.
Personaggio insolito, chiuso, era schivo, non parlava mai delle sue sensazioni né dei suoi sentimenti profondi. Può darsi che cercasse sulle vette proprio le ragioni della sua esistenza. Può anche darsi che sul filo delle creste, lungo le pareti vertiginose, egli abbia intravisto dimensioni che andavano al di là della modesta superficie delle montagne.
Autore di itinerari veramente difficili e di ripetizioni solitarie, Gary era un grande alpinista.
Era anche un vero poeta. Il più bambino tra gli uomini, perché aveva conservato un cuore puro, come quello di un bambino, appunto. Amava gli uomini, ma siccome non si prendeva sul serio, gli uomini non lo contraccambiavano.
E, del resto, chi avrebbe potuto prendere sul serio quel ragazzone dai capelli lunghi che si sforzava di spiegare che la vita è sacra, che la vita è troppo corta perché la si dedichi a costruire delle macchine che distruggono? Troppo corta perché la si viva tra ingranaggi infernali, in mezzo ai rumori e in mezzo agli odori pestilenziali delle grandi città, della meravigliosa civiltà, creazione dell’uomo per il benessere dell’uomo. Chi avrebbe potuto ascoltare, chi avrebbe potuto dare credito a quel grande elfo dagli occhi azzurri che dormiva sotto i ponti della Senna, in un’epoca in cui il dio denaro è più potente che mai? In un’era in cui l’uomo, vincolato alle sue macchine, alle sue scrivanie riduce se stesso in schiavitù?
E’ proprio a causa di tutto questo che Gary Hemming voleva essere e perché aveva un enorme rispetto della vita, che la sua morte ci ha colto di sorpresa, ci ha lasciati attoniti.
Ecco perché parliamo di questa morte, di cui bisogna pur parlare.
Gary era accampato con cinque compagni sulle rive del lago Jenny, al cospetto delle Montagne Rocciose. Era già lì dal giorno prima. Era il 6 agosto. Seduti attorno al fuoco avevano bevuto parecchio. Avevano bevuto troppo whisky durante tutta la serata.
Gary, di solito, non beveva, perché sapeva di non sopportare l’alcol. Un giorno, a tavola, gli avevo offerto del vino e Gary aveva rifiutato dicendomi: «E’ meglio di no, mi fa male. Se bevo divento violento. Una volta mi sono battuto con un amico per una stupidaggine, perché avevo bevuto. Da allora non tocco più né vino né liquori».
Che sia stata la stanchezza per il lungo soggiorno in Alaska, da dove era appena tornato, o l’atmosfera dell’accampamento, il fatto è che Gary, quella sera, dimenticò la sua regola.
La conversazione divenne discussione e poi rissa.
Gary si incollerì con i suoi cinque compagni che, forse, lo provocarono. Fuori di sé, impugnò la rivoltella (gli americani giravano spesso armati) ed esplose un colpo in aria, a mo’ di ammonimento. Gli altri si fecero beffe di lui. Lo punzecchiarono, sfidandolo a servirsi davvero della sua arma. Allora Gary puntò la rivoltella contro di loro, minacciando di sparare. Poi, di colpo, in un baleno, capì l’enormità di quello che stava per fare e si allontanò di corsa verso il lago, davanti alle Montagne Rocciose.
La violenza che era nata in lui l’avrebbe rivolta contro se stesso. Nella notte, una detonazione riecheggiò sulle acque calme del lago Jenny.
Tratto
da:
La montagna a mani nude
di René
Desmaison.
Il
mito di Gary Hemming naque nel 1966, quando il biondo e
scanzonato climber californiano riuscì da solo a salvare due alpinisti tedeschi
incrodati sui Drus, scavalcando tutta la complessa e farraginosa
macchina dei soccorsi.
Episodio
famosissimo ed emblematico a un tempo, quasi il simbolo di una nuova
generazione alpinistica allora in crescita, in aperto contrasto con il vecchio
alpinismo tradizionale.
Il
nome di Gary Hemming è legato a quella vicenda come il nome di re Artù
alla spada Excalibur. Una leggenda che la mitomania alpinistica ha relegato nel
museo delle grandi imprese a scapito, come sempre, dell’uomo che le compì.
Ma
che era veramente Gary Hemming, la cui tragica e misteriosa fine non
fece altro che alimentare la sua aura leggendaria? Chi si ricorda, oggi, di un
personaggio che con le sue azioni e il suo modo di vivere interpretò
drammaticamente forse più di altri le contraddizioni e le lacerazioni della
grande rivoluzione degli anni Sessanta?
Definire
Gary Hemming in poche parole è impossibile. E’ sbagliato per chiunque ma
per lui sarebbe un errore gravissimo. Era nato California ma non diceva né dove
né quando e raccontava frottole ai giornalisti che lo intervistavano dopo il
salvataggio ai Drus. Era venuto in Europa perché per lui americano la
libertà, la frontiera era qui, nel vecchio mondo.
Gary
Hemming è stato un
alpinista che ha dato idee nuove agli alpinisti. E sotto certi aspetti è stato
un anticipatore, soprattutto per quello che riguarda la sensibilità verso i
problemi dell’ambiente: in un articolo pubblicato nel 1964 teorizzò in cinque
punti i principi dell’arrampicata pura in un “manifesto”, pubblicato sulla
rivista del Club Alpino Francese, che può essere considerato alla base
dell’arrampicata moderna; e il primo “comandamento” recita: “Non lasciare
alcuna traccia di passaggio personale”.
Poi
Gary era un “beatnik”, un ribelle, non aveva casa, portava sempre lo
stesso maglione rosso, i Jeans rattoppati e la sciarpa lunga che si vede nelle
fotografie. Le sue poche cose e i suoi molti diari erano sparpagliati in casa
di amici, in Francia e in America. Mandava cartoline da Parigi agli amici con
vedute del Lungosenna e una crocetta sotto un ponte, con scritto “io abito
qui”.Sui documenti, alla voce “professione” metteva “scrittore”. Ha scritto due
libri che non sono mai stati pubblicati. Ci lavorò su per anni e non li
completò mai perché li riscriveva in continuazione, era perennemente
insoddisfatto.
Le
Alpi lo affascinavano e tornava spesso sul Monte Bianco dove, nel
1962 e nel 1963 aveva aperto un paio di vie audacissime per
quegli anni: la Diretta americana sulla Ovest del Dru con Royal
Robbins, e la prima via sulla Sud del Fou con il grande John
Harlin, Tom Frost e Stewart Fulton. Come detto, divenne
famoso dopo il salvataggio ai Drus, poi il grande pubblico lo dimenticò
fino al giorno in cui arrivò la notizia della sua morte, nell’agosto del 1969.
La
sua morte avvenne nel Wyoming, nel Parco Nazionale del Teton, un
luogo che lui amava molto e dove trovava sempre molti amici. La sera in cui
morì c’era stata una festa vicino al lago Jenny, dove gli alpinisti
mettevano le tende. Avevano bevuto parecchio tutti quanti, c’era stata una lite
e Gary aveva sparato un colpo in aria. Gary portava sempre con sé
una rivoltella, nel sacco da montagna. Dopo la festa e la lite, mentre tutti
dormivano, si senti uno sparo e Gary fu trovato morto sul sentiero, con
una pallottola nella testa.
Si
parlò allora di suicidio e di abuso di droga, anche se negli Stati Uniti
non si credette al suicidio e si avanzò l’ipotesi di un incidente o addirittura
di un omicidio.
Se
si riesce a concepire la vita di un uomo con grandi qualità e grandi difetti,
l’immagine di Gary Hemming torna a equilibrarsi.
Tratto
da:
Gary Hemming Una storia degli anni sessanta
di Mirella Tenderini.
1952 - 1/5 luglio. Quattro alpinisti parigini, Lucien Berardini, Adrien Dagory, Guido Magnone e Marcel Lainé, riuscirono a vincere la Parete Ovest del Petit Dru ma l’hanno dovuta tentare due volte: la prima erano riusciti a superare in pochi giorni i due terzi della parete, ma le incessanti difficoltà, la sete e il maltempo li avevano costretti a tornare indietro. Due settimane dopo (17 luglio 1952) essi sono nuovamente alla base de Les Drus. Durante il secondo tentativo raggiungeranno la vetta ma per non perdere tempo in quell’estate particolarmente tempestosa, avevano evitato di ripercorrere la prima parte della salita, già compiuta nel primo tentativo e passarono sulla parete Nord fino a un terrazzo fra la Nord e la Ovest, un po’ sopra la fine del diedro di novanta metri e separato da quest’ultimo da una trentina di metri. Allora avevano pensato e realizzato una traversata audace utilizzando chiodi a pressione (quindi bucando la roccia) su una placca assolutamente levigata. L’atto di bucare la roccia non era mai stato fatto prima da nessun arrampicatore, è quindi facile immaginare che la salita fu criticata assai duramente dagli ambienti alpinistici internazionali, e inoltre fu totalmente disapprovato il metodo di realizzazione (infatti, i quattro alpinisti, durante il loro secondo tentativo, ritornarono al punto precedentemente raggiunto passando da un’altra via sulla parete Nord per assicurarsi la ritirata in caso di maltempo) ed i mezzi impiegati. In realtà si trattava di un’impresa di valore eccezionale. Secondo alcuni è stata la più importante e significativa scalata di roccia aperta sulle Alpi nel dopoguerra, in quanto dette origine ad una nuova concezione dell’alpinismo. Giustamente Guido Magnone (alpinista e scultore francese) giunse ad affermare che «in ogni attività dell’uomo, chi cerca di creare qualcosa di nuovo che vada contro la tradizione vigente, deve aspettarsi una reazione di questo tipo».
Quei chiodi, rimasti nel granito, hanno poi permesso ad altre cordate di salvarsi dalla parete e sono stati d’importanza capitale nel salvataggio di due alpinisti tedeschi: Heinz Ramisch e Hermann Schriddel incrodati sul Il Drus nel 1966. Salvati poi da Gary Hemming e René Desmaison che scavalcarono tutta la complessa e farraginosa macchina dei soccorsi. - Settore dell’Aiguille Verte - Alpi Francesi - Alpi Graie - Massiccio del Monte Bianco.
1961 – 27/28 agosto. John Harlin e Gary Hemming realizzano la 1° traversata passando per il Col de Peutérey nel senso Brenva-Freney. - Contrafforti Italiani - Massiccio del Monte Bianco.
1963 – 17 e 25/26 luglio. Gary Hemming, John Harlin, Tom Frost e lo scozzese Stuart Fulton realizzano un’impresa che testimonia l’effettiva supremazia delle loro tecniche in artificiale, anche se la sfortuna li perseguita con improvvisi temporali il 26 luglio sono in vetta all’Aiguille du Fou per la parete Sud. (via Americana) oggi (via Classica). Parleranno di VI° grado e A4, e per loro ammissione dicono che senza chiodi speciali non ne sarebbero venuti a capo del problema. La prima ascensione di questa parete ha costituito un avvenimento. Aperta prevalentemente in artificiale, questa via cominciò ad essere rapidamente ripetuta con un massimo di libera (80% già nel 1970). - Settore delle Aiguilles de Chamonix - Alpi Francesi - Massiccio del Monte Bianco.
1983 - 27 luglio. Eric Escoffier con P. Mailly ritorna sulla Via Americana all’Aiguille du Fou liberando completamente la via di Gary Hemming, John Harlin, Tom Frost e Stuart Fulton del 17 e 25/26 luglio 1963. - Settore delle Aiguilles de Chamonix - Alpi Francesi - Massiccio del Monte Bianco.
1986 - 16 agosto. Marco Pedrini partì per una nuova, prestigiosa solitaria, la Diretta Americana al, Petit Dru o meglio Il Dru, la via di Gary Hemming e Royal Robbins del 24/26 luglio 1962. Non ci furono testimoni, ma probabilmente la salita riuscì. Successe tutto nella discesa, sempre senza testimoni: forse cedette un cordino o uscì il chiodo di ancoraggio della corda doppia. Avrebbe compiuto 28 anni a novembre. - Settore dell’Aiguille Verte - Alpi Francesi - Alpi Graie - Massiccio del Monte Bianco.