(Val Raccolana, Chiusaforte 1935)
Ignazio Piussi potente conquistatore di pareti, d’estate e d’inverno.
Nella sua famiglia c’era una lunga tradizione di guide alpine: il nonno Osvaldo Pesamosca accompagnava il pioniere delle Alpi Giulie, Julius Kugy.
Così Piussi iniziò giovanissimo l’attività alpinistica, ma divenne noto prima per quella sciistica, come fondista, saltatore e bobbista.
Nel 1954 e nel 1955 aprì vie di sesto grado nelle Giulie, sul Piccolo Mangart di Coritenza e sulla Veunza.
Il primo contatto di alto livello con le Dolomiti è del 1956, con la prima ripetizione della via Degli Scoiattoli alla Cima Scotoni, nel gruppo di Fanes, impresa che destò scalpore e qualche polemica con le guide cortinesi.
E’ del 1959 l’impresa più nota, la direttissima sulla parete Sud della Torre Trieste (gruppo della Civetta) insieme a Giorgio Redaelli, che venne definita la più grandiosa arrampicata in artificiale della catena alpina. La via supera direttamente, con una linea «a goccia d’acqua» i grandi strapiombi centrali della parete, e richiede una lunga permanenza in parete e un uso notevole di moderni mezzi tecnici.
Anche nel Monte Bianco Piussi ottenne un prestigioso successo: fece parte nel 1961 della cordata anglo-italo-francese che raggiunse la cima del Pilone Centrale del Frêney.
Nel 1963 Ignazio Piussi con Toni Hiebeler e Giorgio Redaelli realizzano la prima ascensione invernale della via Solleder sulla parete Nordovest della Civetta, in otto giorni di scalata.
Fu questa l’impresa che diede la massima notorietà a Ignazio Piussi, che fece da capocordata sull’intera via.
Dopo aver pagato l’inevitabile tributo al mito alpinistico dell’epoca (la parete Nord dell’Eiger, da cui fu respinto molte volte per il maltempo, insieme con Roberto Sorgato), Piussi firmò altre notevoli imprese in Civetta: nel 1965 con la via sulla parete Nordovest di Punta Tissi (insieme a Roberto Sorgato e Pierre Mazeaud) e nel 1967 sullo spigolo della Su Alto nella Civetta (con Alziro Molin e alcuni «Ragni» lecchesi). Quest’ultima via, aperta con un uso limitato di chiodi a pressione, è probabilmente l’ultimo export di arrampicata artificiale nelle pareti della Civetta.
A coronamento della sua carriera alpinistica Ignazio Piussi partecipò a due spedizioni extra-europee, in Antartide nel 1968 (la prima esplorazione alpinistica italiana) e al Lhotse nel 1975.
1956 - Il primo contatto di alto livello con le Dolomiti di Ignazio Piussi è la prima ripetizione della via Degli Scoiattoli alla Cima Scotoni, nel gruppo di Fanes, impresa che destò scalpore e qualche polemica con le guide cortinesi.
1959 - Ignazio Piussi, certamente uno dei più forti e “duri” arrampicatori dolomitici del dopoguerra con Giorgio Redaelli, in parecchi giorni d’arrampicata salgono direttamente le gialle concavità della parete la formidabile parete Sud della Torre Trieste: per salire 800 metri usano 330 chiodi, 90 ad espansione e 45 cunei.
Piussi così racconta l’avventura: «Avevo fregato dei manici di scopa al RifugioVazzoler, li avevo segati e me li ero messi in tasca. Li infilavo in quei buchetti che ci sono lì, fatti dai fossili, e poi mettevo il chiodino. Bastava che uno partisse e li avrei tirati giù tutti. Noi siamo veramente andati sul filo del rasoio. Dovevamo lavorare con la testa, calcolare ogni minimo movimento. Il fatto è che io avevo in testa quella maledetta idea della diretta, e diritto volevo andare. E poi, sulle pubblicazioni che sono venute dopo, nessuno me l’ha mai riportata come l’avevo fatta: né francesi, né spagnoli, nessuno. Tutti me l’hanno segnata sbagliata, (…) insomma me l’hanno mutilata riportandola sulle pubblicazioni, ma io sono andato su dritto!».
Ciò è dimostrato anche dagli avvenimenti della salita: «La mattina seguente, un tiro» mi pare «dopo il bivacco, c’era un tettino: ho piantato un chiodo. Pesto, pesto… non mi si stacca il tetto? Mi è piombato di taglio sulla coscia mentre ero sulle staffe: avrà avuto due quintali di peso; mi ha segnato la coscia; poi è scivolato via spingendomi indietro. Un male…! Non ho mai controllato fino al rifugio; lì, quando mi sono spogliato, ho visto che mi aveva tagliato il muscolo».
«Il terzo giorno io già non ne potevo più: andavo avanti per rabbia, o non so per che cosa… Ho detto a Redaelli: “E fammi almeno un tiro, no!”. Lui piagnucolava: “No, che c’ho la sinusite mascellare…” Chissà che cos’era ‘sta sinusite mascellare!
E così, avanti, non ha fatto neanche un centimetro. Io avevo le palle piene; aprivo io, ma mica per prendermi il merito! Io avei detto: prego, accomodati! Volevo andasse avanti un po’ lui insomma, ma non c’era niente da fare. “Sai, qualche tiro pensavo di farlo anch’io” mi ha detto, “ma adesso non me la sento; mi fido molto più di te che di me”.
E poi io, sui tetti, ogni tanto sbattevo la testa da qualche parte su quegli spuntoni maledetti, taglienti. Allora bestemmiavo; lui protestava: “Non bestemmiare, non bestemmiare…”
“Stai buono se no ti taglio le corde” gli gridavo, oppure: “Quando ti recupero stai lontano, se no ti spacco la testa col martello!”.
“Uh, ma che caratteraccio” diceva lui.
“Va’ avanti un po’ tu, va’, e poi vediamo!”
“No, no che ho la sinusite mascellare!”».
Per la verità, Piussi e Redaelli al ritorno da questa impresa si aspettano che qualcuno corra loro incontro, ma i due non fanno ancora nome. Anzi, Piussi tornato a casa, con la vendita del legname e il recupero di ferro, dovrà racimolare i soldi per saldare il conto delle cuccette usufruite nel RifugioVazzoler.
Ma conoscendo Piussi e basandosi sul giudizio dei ripetitori, possiamo asserire con certezza che nessuno di quei chiodi si sarà rivelato superfluo ed inutile e che Piussi aveva chiodato solo dove veramente la natura della roccia lo richiedeva.
D’altronde Piussi sulle montagne di casa sua, le belle e selvagge Alpi Giulie, ha ampiamente dimostrato di essere un arrampicatore libero di eccezionale capacità: alcune sue vie aperte alla Veunza e al Piccolo Mangart di Coritenza, ancora non sono state ripetute, oppure, se ripetute, sono state giudicate di estrema difficoltà, tra le più dure vie di roccia della catena alpina.
1961 - 1/3 agosto. Il Pilone Centrale del Frêney viene attaccato nuovamente da una cordata italo-francese. Erano Pierre Julien, istruttore dell’Ecole Nationale di Chamonix e Ignazio Piussi, un forte alpinista italiano che era ospite di un convegno internazionale organizzato dall’Ecole. I due scalatori scendono sulla vetta del Monte Bianco, posati lassù da un elicottero, poi si calano lungo la Cresta di Peutérey, fino al colle omonimo, e assaltano il Pilone Centrale del Frêney. Sono costretti al rientro tre giorni dopo avendo lasciarono cadere in un crepaccio lo zaino con tutta l’attrezzatura e anche perché il tempo cominciava a guastarsi. - Contrafforti Italiani – Massiccio del Monte Bianco.
1961 – 27/29 agosto. Chris Bonington con Don Whillans, Jan Clough ed il polacco Jan Duglosz, vincono in prima ascensione il difficile Pilone Centrale di Frêney, (via classica), dove si era svolta la tragica ritirata in cui perirono Andrea Oggioni, Antoine Vieille, Robert Guillaume e Pierre Kohlmann. Durante l’ultimo tratto di scalata Christian Bonington e Don Whillans vinsero un paio di lunghezze di corda veramente difficili e complesse, rese ancora più delicate dal fatto che essi si trovavano sprovvisti di cunei e dovettero sopperire a questa mancanza con alcuni sassi incastrati nelle fessure! (Tecnica comunque assai cara agli alpinisti di scuola britannica).
Essi precedono di poco un folto gruppo di altri alpinisti: René Desmaison, Pierre Julien, Yves Pollet-Villard e l’italiano Ignazio Piussi, che per superare l’ultimo tratto di scalata si serviranno di una corda fissa lasciata appositamente dagli inglesi. TD+, 500 m. - Contrafforti Italiani – Massiccio del Monte Bianco.
1961 – 28/29 agosto. René Desmaison, Pierre Julien, Yves Pollet-Villard e Ignazio Piussi, realizzano la seconda ascensione del Pilone Centrale di Frêney preceduti di poco dalla cordata composta da Christian Bonington con Don Whillans, Jan Clough ed il polacco Jan Duglosz.
La cordata anglo-italo-francese per superare l’ultimo tratto di scalata si serviranno di una corda fissa lasciata appositamente dagli inglesi. - Contrafforti Italiani – Massiccio del Monte Bianco.
1963 – 28 febbraio - 7 marzo. Durante l’inverno assistiamo alla prima invernale della via Solleder al Civetta parete Nord Ovest. L’assalto è condotto da Ignazio Piussi, Giorgio Redaelli e Toni Hiebeler. E’ il friulano Piussi ad esser l’esecutore materiale della salita. Dal 4 marzo partecipano inoltre all’impresa anche Marcello Bonafede, Natalino Menegus e Roberto Sorgato.
«In questi due primi bivacchi siamo stati bene, tutto sommato. Avevamo con noi un fornelletto che aveva portato Toni: era uno di quei fornelletti a forma di siluro che andavano a benzina avio. Solo che Toni, invece di acquistare benzina avio, aveva acquistato benzina super; e già nel secondo bivacco questo fatto ci aveva dato dei problemi. (…) Al terzo bivacco non c’è stato verso di farlo funzionare: si era otturato il beccuccio perché la super era sporca.
Avevamo passato tutto il giorno sopra il Camino Bloccato e la sera eravamo senza fuoco. Così ho dovuto adoperare i cunei di legno d’arrampicata per fare il fuoco e mangiare. (…) Col martello rompevo in due i cunei di legno di arrampicata e poi li facevo a pezzettini; con quelli facevo un fuocherello che mi bastava per sciogliere la neve che ci dava due litri di acqua, e così si beveva. (…) Quindi io non solo tiravo durante il giorno, ma la sera mi toccava anche preparare il bivacco, montare la tendina e fare il fuoco. Gli altri due aspettavano che l’acqua fosse calda e buttavano dentro di tutto: vitamina C, destrosio, Xanton; facevano una specie di brodaglia potente, mettevano un po’ di parmigiano e via!» - (I. Piussi)
1965 - Ignazio Piussi, Roberto Sorgato e Pierre Mazeaud salgono la Punta Tissi.
1967 - Ignazio Piussi, Alziro Molin, Aldo Anghileri con Ernesto Panzeri e Guerrino Cariboni salgono uno spigolo dalle linee ardite: lo Spigolo della Cima Su Alto (Civetta). Per i suoi 400 metri di dislivello (più 400 metri di zoccolo) vengono usati 22 chiodi a pressione che sono giustificati dall’estrema compattezza della roccia che compone lo spigolo. Siamo all’apoteosi della linea perfetta.