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(Hunza) - Isakhan

 

 

1954 - 3 agosto. Leggendo e rileggendo la scarna versione qui riportata della Prima ascensione al K2 (La montagna degli italiani) Karakorum - Himalaya. Mi sembra doveroso riportare da fonti più ufficiali e giornali autorevoli, e non da meno da libri “Montagne di una vita” – “K2 storia di un caso” e Il caso K2 – 40 anni dopo. di Walter Bonatti e molti altri, compreso spunti da Internet, una breve sintesi della verità dei fatti.

Caso K2. – La prima salita alla vetta del K2.

31 luglio 1954 la spedizione italiana guidata dal professore Ardito Desio raggiunge la vetta del K2. La notizia giunge in Italia a mezzogiorno del 3 agosto ed accolta con grande entusiasmo e simbolo della rinascita del paese nel dopoguerra. Ovviamente da quel momento il K2 divenne per tutti la “Montagna degli Italiani”. I due alpinisti che raggiunsero effettivamente la vetta furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il determinante aiuto di Walter Bonatti, anche se il merito va sicuramente all’intero gruppo. La spedizione fu inizialmente segnata dalla morte della guida alpina di Courmayeur Mario Puchoz colpito da edema polmonare. Erich Abram, Walter Bonatti e Ubaldo Rey, fecero il grosso del lavoro di messa in opera delle corde fisse sulla cosiddetta Piramide Nera, la difficile zona rocciosa poco sotto i 7000 metri. Il 30 luglio, il giorno prima della salita finale con un carico di bombole sulle spalle recuperate appena sopra il settimo campo, Walter Bonatti forse meno provato degli altri avanza in testa alla fila, seguito da Pino Gallotti e Erich Abram con i due hunza Amir Mahdi e Isakhan. Arrivati al campo otto, Pino Gallotti non si regge più in piedi, Erich Abram non si pronuncia, ma dall’espressione del suo volto c’è poco da sperare. Lo hunza Isakhan febbricitante, geme come un bambino. Invece Amir Mahdi è ancora in ottime condizioni. Con uno strattagemma Walter Bonatti convince Amir Mahdi ad aiutarlo a portare i due trespoli dell’ossigeno al campo nove dove erano attesi da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, designati per conquistare la cima, ma non riuscirono a raggiungere la tenda del campo. Al sopraggiungere dell’oscurità Walter Bonatti e Amir Mahdi si trovarono così impossibilitati sia a salire sia a scendere. Non ricevendo assistenza dalla ormai vicina tenda di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli (non si trova dietro il masso come accordato ma a cinquanta metri  più in alto nascosta dietro la grande fascia rossa). Ed ecco, incredibile, nel profondo silenzio, sulla dorsale che finisce sotto la fascia rocciosa e poco più in quota si accende una luce. Con voce ben distinta e cruda Lino Lacedelli si giustifica, con queste precise parole: “Non vorrai che stiamo fuori tutta la notte a gelare per te!”. – “Avete l’ossigeno? - bene lasciatelo lì e scendete subito”. Walter Bonatti e Amir Mahdi dovettero quindi bivaccare all’aperto in condizioni climatiche proibitive, su un gradino di ghiaccio in mezzo a un ripido canalone che il vento notturno riempiva di neve, senza tenda e senza sacchi a pelo, e sopravvissero solo grazie alla loro eccezionale forza fisica. Amir Mahdi riportò gravi congelamenti che portarono all’amputazione di tutte le dita dei piedi. Questo episodio è all’origine di tutta serie di polemiche, calunnie, accuse, perfino di fronte a tribunali, che coinvolsero i protagonisti della vicenda e si trascinarono per 54 anni, dando origine al cosiddetto Caso K2.

Secondo la relazione pubblicata all’epoca da Ardito Desio, la mattina successiva al trasporto dei basti con le bombole di ossigeno da parte di Walter Bonatti e Amir Mahdi, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, sarebbero scesi a prendere le bombole (che garantivano una pressurizzazione pari a 6000 metri anche alla quota di 8100 metri), dove Walter Bonatti e Amir Mahdi le avevano lasciate ( a poca distanza dal campo nove) e con esse avrebbero fatto la salita finale; l’ossigeno tuttavia, secondo il loro racconto, si sarebbe esaurito due ore prima (a quota 8400) e quindi i due alpinisti avrebbero raggiunto la vetta del K2 senza respirare ossigeno supplementare, portando comunque con sé i bastini con le bombole ( dal peso complessivo di 19 chilogrammi per alpinista) per lasciarli in vetta come segno della loro conquista. Al ritorno entrambi sarebbero stati in condizioni psicofisiche difficili e Achille Compagnoni, che in un primo tempo disse di avere ceduto in vetta i suoi guanti a Lino Lacedelli ma che poi sarebbero volati nel vento mentre scattava le foto (la versione venne poi modificata), riportò gravi congelamenti alle mani, per i quali fu necessario l’amputazione di due dita.

“Il caso K2 – 40 anni dopo”. di Walter Bonatti - Revisione della versione ufficiale.

La versione secondo cui l’ossigeno sarebbe terminato prima di raggiungere la vetta è stata ufficialmente smentita dal CAI a seguito delle risultanze della commissione dei tre saggi, che ha pubblicato la propria relazione nel 2008. Secondo la versione rivista, l’ossigeno sarebbe stato utilizzato fino alla cima. La prova è costituita da 2 foto scattate sulla cima dai due alpinisti: in una si vede Achille Compagnoni ancora con la maschera dell’ossigeno; nell’altra Lino Lacedelli con tracce di brina intorno alla bocca, come se si fosse tolto da poco la sua maschera di ossigeno. A sottolineare questo fatto si deve il merito al dottor Robert Marshall di Melboure, un medico chirurgo che dopo un’analisi approfondita e puntigliosa fornendo una documentazione singolare, tanto più inattesa in quanto era già da sempre a disposizione degli osservatori. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli avrebbero respirato l’ossigeno delle bombole per circa 10 ore, vale a dire che era completamente cariche. I due avrebbero cominciato la salita finale non prima delle 8,30 partendo dal luogo del forzato bivacco notturno di Walter Bonatti e Amir Mahdi dove avrebbero recuperato le bombole lasciate in bella vista e scoperte dalla neve da Walter Bonatti. Risulta pertanto completamente valida la versione di Walter Bonatti.