(Venezia 1898 - New York 1994) - Domenico Rudatis dopo aver interrotto gli studi di ingegneria si dedicò con passione al disegno e allo studio delle filosofie orientali. Negli anni fra le due guerre studiò a fondo la storia e l'esplorazione alpinistica delle montagne agordine e in particolare della Civetta; pubblicò Renzo numerosi scritti monografici (modello di precisione e approfondimento) proponendo all'attenzione degli alpinisti gli obiettivi più ambiziosi. Vanno ricordate in questo senso la monografia Rivelazioni dolomitiche: la parete nord-ovest della Civetta, pubblicata sulla Rivista Mensile del 1927 , e la collaborazione, per lo stesso gruppo, alla Guida delle Dolomiti orientali di Antonio Berti del 1928. Lo stesso Rudatis partecipò all'apertura di alcune vie di grande difficoltà in Civetta, come lo spigolo Sud-Est del Pan di Zucchero (1928, con Renzo Videsott), lo spigolo Sud-Ovest della Cima Busazza (1929, con Renzo Videsott e Leo Rittler), la parete Nord-Ovest del Pan di Zucchero (1932, con Attilio Tissi e Giovanni Andrich), il Campanile di Brabante (1933, con Leopoldo del Belgio, Tissi, Andrich, Carlo Franchetti). Interruppe l'attività dopo un incidente automobilistico nel 1933, ma proseguì con molte pubblicazioni l'approfondimento del problema della valutazione delle difficoltà in alpinismo, tanto da essere chiamato «profeta del sesto grado». Egli si batté, insieme al giornalista Vittorio Varale, per far accettare la concezione moderna di alpinismo estremo che si esprimeva negli exploit della scuola bavarese e austriaca: vanno ricordati, in proposito, due articoli, Designazione e graduazione delle imprese di arrampicamento, (pubblicato nel 1932 sulla rivista «Lo sport fascista» e dedicato alla scala delle difficoltà) e Il riconoscimento e il regno del sesto grado (in Rivista Mensile, 1935). La sua concezione dell'alpinismo estremo come superamento e realizzazione dell'Io assumeva anche tratti retorici legati all'irrazionalismo tipico soprattutto di certa tradizione germanica (di cui Rudatis fu buon conoscitore) e in sintonia con l'idea di uomo eroico propugnata in quegli anni dal regime fascista; ma ciò che influenzò l'alpinismo dolomitico fu soprattutto la lucidità di Rudatis nel confrontare le difficoltà e nel trovare i criteri per una valutazione oggettiva. Rudatis ebbe notorietà anche nel mondo alpinistico tedesco: in Germania pubblicò nel 1936 una raccolta dei suoi scritti, Das letzte im Fels. Si trasferì a New York dopo la seconda guerra mondiale. Altri scritti teorici ebbero per oggetto la profonda spiritualità dell'alpinismo: fra essi l'ultima sua opera, Liberazione (1985).
L’opera che seppe svolgere Domenico Rudatis fu veramente fondamentale per il futuro sviluppo dell’alpinismo dolomitico italiano. Chiunque si avvicini a Rudatis attraverso gli scritti, ne scopre un personaggio iperbolico e straordinario. Rudatis era un profondo studioso delle filosofie orientali ed era anche un seguace della filosofia nietzschiana.
A poco a poco formulò una propria ideologia, in cui l’alpinismo e soprattutto l’arrampicata estrema erano il mezzo ideale per superare se stessi, per uscire dalla vile condizione soggetta al destino e per scoprire una dimensione di libertà in cui ci si riuniva a tutte le forze del cosmo.
Egli fece una sintesi originalissima, interessante e magistrale della dottrina taoista e del credo di Nietzsche, portando negli ambienti alpinistici una ventata rivoluzionaria e sconvolgente che destò le reazioni più contraddittorie e vivaci.
Perfetto conoscitore dell’alpinismo tedesco e delle tecniche della “Scuola di Monaco”, in una serie di brillantissimi articoli illustrò e diffuse anche in Italia i sistemi e le idee che avevano permesso le grandi realizzazioni dei tedeschi sulle Dolomiti.
Studioso profondo e accuratissimo, svolse un’acuta analisi di tutto l’alpinismo dolomitico, rivalutando uomini ed imprese che ingiustamente erano rimaste nell’ombra. Per questo più volte fu accusato di essere “tedescofilo”, oppure di essere un fanatico ed esaltato cultore di filosofie trascendentali.
“Bisogna ritrovare nella montagna l’essenza indomita e primordiale della natura e della vita. Bisogna saper ricavare dall’arrampicamento ben più del record sportivo, tendere a compierlo solo come sforzo, come interiore violentamento dei propri limiti, come mediazione di un atto puro di potenza, per trascenderlo, per purgare l’azione dalla brama, dall’emozione, dalla passione e risuscitarla come arbitrio, come gioco. Allora tecnica e progresso materiale si riconoscono come strumentalità e cessano di imporsi come valori”.
La montagna di Domenico Rudatis è il Civetta e sembra che egli non veda altre montagne al di fuori di quella. Nelle sue strutture, nelle sue pareti, nelle sue torri, Rudatis vede ciò che mai nessuno vi ha visto: trascinato dal vento dell’irrazionale, libera tutta la sua fantasia, tutta la sua energia creativa in immagini che a volte sfiorano e raggiungono il delirio. “…Formidabile, acutissima, affilata lama di roccia… che rivolge al cielo l’impeto più protervo e minaccioso dell’intera corte; pare lo scatto prorompente irrefrenabile da una ribellione eternamente repressa, la ribellione dell’immota fermezza delle rupi incatenate nel giogo delle forme contro l’eterea infinità degli spazi che avvolgono la montagna e vi sfoga le sue ire ed i suoi capricci….”
Oppure in una parete vi scorge come una lapide di proporzioni smisurate, una lapide “immane cui sarebbe forse iscrizione adeguata solo la più vasta epopea dell’intera umanità, tutti i duecentomila versi del Mahabharata!”.
A prescindere da ogni giudizio, l’opera di Rudatis fu comunque essenziale per l’evoluzione dell’alpinismo dolomitico in Italia. Non va dimenticata la sua collaborazione alla Guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti (1882 – 1956)ed anche i già citati scritti apparsi sulla Rivista Mensile del CAI dove presentò agli italiani il massiccio del Civetta e poi illustrò da par suo il problema del sesto grado e l’analisi della difficoltà alpinistica a livello soggettivo ed oggettivo.
1928 - Prima di unirsi al gruppo dei bellunesi, con cui realizzerà imprese quasi leggendarie, Domenico Rudatis approfondì la sua conoscenza del Civetta con il trentino Renzo Videsott – futuro direttore del Parco Nazionale del Gran Paradiso – col quale conquistò il Pan di Zucchero, con una scalata nei limiti del quinto grado.
1929 - Domenico Rudatis salì la Torre di Babele con Renzo Videsott e Leo Rittlet.
1929 - Domenico Rudatis,compie la salita al Civetta lungo l’intera cresta Nord, una magnifica arrampicata che fu realizzata con Renzo Videsott e con il trentino Giorgio Graffer, uno dei migliori arrampicatori che agirono nella Dolomiti intorno agli anni Trenta.
1929 - Domenico Rudatis con Renzo Videsott e Leo Rittler salgono lo spigolo Sud-Ovest della Cima Busazza
1929 – Renzo Videsott e Domenico Rudatis effettuarono la terza ripetizione dell’itinerario (Dibona) sulla parete Ovest del Croz dell’Altissimo, nel Sottogruppo Gaiarda e Altissimo. - Gruppo di Brenta - Dolomiti di Brenta.
1929 - Domenico Rudatis cercava un’impresa pari alla Solleder al Civetta e la trovò salendo il fantastico Spigolo Ovest della Busazza, posto sull’altro versante del Civetta: alto 1200 metri, di roccia levigata e compatta, costituiva veramente un problema all’altezza delle salite realizzate dai tedeschi sulle Dolomiti.
Dopo un tentativo di Domenico Rudatis e Renzo Videsott, la salita fu compiuta insieme al forte alpinista tedesco Leo Rittler, che già aveva ripetuto per la prima volta la Solleder, aprendo una variante diretta assai difficile e rischiosa. Lo stesso Leo Rittler giudicò alcuni passaggi più difficili della fessura iniziale della Solleder e ritenne le due vie pressoché equivalenti. Ma Rudatis affermò sempre che nell’insieme la Solleder vantava una certa superiorità, dettata anche dai fattori ambientali. E’ superfluo dire che anche in quest’impresa l’uso dei chiodi fu limitatissima, però quei pochi chiodi (cinque in tutto), permisero di superare passaggi(come il tetto iniziale) superabili in libera arrampicata. In ogni caso si era eguagliato Emil Solleder, ma non lo si era ancora superato.
Oggi lo Spigolo Ovest della Busazza e una delle più classiche vie delle Dolomiti.
1930 - La Cima Maria José. In occasione del matrimonio fra la figlia di re Alberto I dei Belgi con Umberto, figlio del re d’Italia Vittorio Emanuele III, ebbe questo nome quella che i valligiani chiamavano Terza Pala di San Lucano, nell’omonimo sottogruppo. L’iniziativa della dedica fu della sezione CAI Agordo e della scelta della cima – che non aveva ancora avuto ascensioni alpinistiche – fu proposta da Domenico Rudatis. Nello stesso anno, per celebrare la ricorrenza, fu tracciata la via sullo spigolo Sud da Attilio Tissi e Giovanni Andrich. La cima è oggi nota con l’originale nome locale. (Terza Pala di San Lucano).
1932 - 22 agosto. Domenico Rudatis con Attilio Tissi e Giovanni Andrich conquistano la parete Nord-ovest del Pan di Zucchero con un’arrampicata superba dove fu vinto in libera un tratto di V e di VI° grado, detta la “parete volante”.
“…Sopra di noi si eleva una parete di placche di color grigio scuro, che in alto si curvano e sporgono come pance. L’avanzata diretta sembra chiusa. A destra e a sinistra sfuggono pareti lisce e verticali. Sentiamo che la decisione di proseguire ci impegna a fondo e che le sorti della lotta si presentano quanto mai incerte. Dopo una nostra osservazione, Tissi parte. Lo vedo distendersi, allungarsi da un appiglio all’altro, equilibrarsi sapientemente su minimi appoggi, salire calmo e preciso. Ripetutamente vibra nello spazio la nota acuta del chiodo martellato dentro la roccia. La doppia corda con cui siamo legati seguita ad avanzare oscillando nel vuoto, mentre io l’accompagno ansiosamente. Così diritta è la parete, che di sotto scorgo tutta la suola delle pedule di Tissi, che procede sempre lavorando con le punte dei piedi… Sopra la roccia strapiomba ed appare priva di appigli. All’intorno il vuoto più vertiginoso… Si potrebbe tentare di formare una piramide attaccata ai chiodi sullo strapiombo, ma Tissi invece allunga prima una mano, poi l’altra, si tira su e contemporaneamente apre smisuratamente le gambe, con dei movimenti e pendolo incomprensibili. Ho il cuore in gola. Non capisco come faccia, a reggersi in pieno strapiombo. Ha tutto il corpo nel vuoto, la roccia è liscia. Intanto ci grida: “Attenzione, attenzione, volo! Volo…!”.
Sto per trattenere la corda angosciosamente. Ma è un attimo. Egli è già su!… Non dimenticherò mai quei tre o quattro movimenti con cui egli ha superato lo strapiombo. Non furono degli scatti ma rapidi allungamenti oscillanti, durante l’esecuzione dei quali mi sembrò che la legge di gravità scomparisse del tutto”.
Questo il colorito racconto di Domenico Rudatis di una delle grandi imprese degli agordini (Pan di Zucchero – Prima salita per la parete Nord-ovest) e attraverso le sue parole possiamo farci un’idea più chiara dello “spirito” che animava questi arrampicatori.
1931 - A dare una spinta decisiva verso la scoperta del nuovo e verso la conquista di pareti inscalate fu l’incontro con il “profeta” Rudatis, che fu assai proficuo, perché finalmente le intuizioni e le teorie folgoranti di Domenico Rudatis potevano trovare una concretezza nella straordinaria capacità di un capocordata come Attilio Tissi.
1933 - 2 settembre. Attilio Tissi, Giovanni Andrich, Domenico Rudatis, Carlo Franchetti e il principe Leopoldo di Brabante in arrampicata libera conquistano il Campanile di Brabante (Civetta). Il Campanile di Brabante è una torre di roccia di modeste proporzioni, ma Attilio Tissi durante la prima salita superò all’inizio una paretina strapiombante con un solo chiodo d’assicurazione, vincendo in stile elegantissimo e pulito un passaggio di assoluto VI° grado. Ancora oggi, il “passaggio d’attacco” del Brabante è un vero e proprio “test” per l’arrampicatore, e non sono pochi anche i nomi celebri e famosi che hanno dovuto arrendersi di fronte alle difficoltà. Altri invece, volendo passare ad ogni costo, hanno riempito il passaggio di chiodi ed hanno anche usato le staffe…!.