Da: Montagna primo amore
Club Alpino Italiano
Commissione Centrale
Alpinismo Giovanile
Edizione 1992 - Pag. 26/27.
E’ nato a Krani, cittadina a nord-ovest di Lubiana in Slovenia, nel 1959.
E’ il più affermato alpinista sloveno.
Ha due figli e una moglie che sembra ormai rassegnata a passare il proprio tempo nell’attesa spasmodica del suo ritorno.
Un fisico prestante, un caschetto di capelli neri che gli conferisce un’aria sbarazzina e un diploma universitario in lingue, Cesen si è avvicinato alla montagna molto presto: prima le gite con gli amici, poi le prime salite…
Si è “fabbricato “ così, giorno dopo giorno, fino a diventare un fuoriclasse, un’esplosiva miscela di tecnica, di audacia e di velocità e ha preferito decisamente il severo cammino delle ascensioni solitarie.
Oltre200 le vie che ha percorso, di difficoltà crescente, fino alla parete Sud dell’Alpamayo nelle Ande peruviane e agli ottomila himalayani.
Si mette in luce verso la metà degli anni Ottanta con alcune difficili solitarie nelle Alpi Giulie e nel massiccio del Monte Bianco.
Una stupefacente progressione di salite, pietre miliari di una significativa carriera alpinistica.
1985 – Grandes Jorasses: salita per lo sperone Walker, discesa per la Cresta des Hirondelles, risalita per la Via Mc Intyre-Colton.
1985 – La prima esperienza himalayana, sullo Yalug Kang, la cima orientale del Kangchenjunga (8505 m.), la terza cima della terra. E’ drammatica e rivelatrice, una prova di iniziazione: in discesa il compagno Borut Bergant precipita e Tomo Česen è costretto a passare una notte disperata a 8400, senza ossigeno e senza attrezzatura da bivacco. Si salva e scopre i propri mezzi.
“Mi sentii pronto a misurarmi con l’Himalaya dopo nove anni di scalate.Un po’ tardi, forse, ma spesso in seguito mi domandai come me la sarei cavata in certe situazioni con meno esperienza…”.
Il 22 Aprile di quell’anno, mise il piede sul suo primo Ottomila.
Un’impresa particolarmente sofferta, con un drammatico rientro al campo base.
“Dopo sei giorni” racconta, “posso togliermi gli scarponi e appoggiare la testa sulle ginocchia: ho già dimenticato quel che vuol dire un sonno tranquillo”.
Il Yalug Kang gli è costato quattordici chili!.
1986 – Trilogia invernale: dal 6 al 12 Marzo, Tomo Česen vince le tre grandi pareti Nord delle Alpi: l’Eiger, il Cervino, le Grandes Jorasses.
1986 – Tomo Česen. In agosto apre una nuova via, senza compagni, sul pilastro Sud del K2: in appena 17 ore di arrampicata raggiunge lo Sperone degli Abruzzi a circa 8000 metri di altezza (per di più è uno dei fortunati alpinisti che tornano indietro dalla montagna, nella tragica estate del 1986).
Si comincia a parlare di lui a livello internazionale.
1987 – Tomo Cesen realizza la prima ripetizione e prima solitaria sulla parete Nord della Punta Croz alle Grandes Jorasses della via “No Siesta”, in 14 ore.
Dru: solitaria in 7 ore del temibilissimo Couloir Nord.
Alpi Giulie: tre invernali solitarie della via Cetrt Stoletja al monte Site (VII – A1)
1988 – Alpi Giulie: prima ripetizione e prima solitaria della direttissima al monte Site (VII+)
Alpi Giulie. Tre invernali solitarie su altrettanti vie de Travnik (VI e VIII).
1989 – Marmolada: prima invernale solitaria della Via Tempi Moderni, percorsa in 7 ore.
1989 - 5 febbraio. Tomo Cesen, realizza la quarta ripetizione, prima invernale e prima solitaria della via direttissima Gabarrou-Long, al Pilastro Rosso di Brouillard. (Pilier Rouge du Brouillard).
Itinerario superbo, che supera direttamente all'esterno tutto il pilastro, su granito eccellente. Splendida scalata in gran parte libera, sul pilastro ritenuto il più bello del Monte Bianco. Il pilastro è costituito da tre parti: lo zoccolo, la gran placca mediana, la magnifica parte superiore. Corde da 50 m. Dislivello 400 m. Difficoltà ED+, in libera (fino a 7a) e 20 m. di A2 e A3 molto delicato: microchiodi (i primi salitori: ED-). - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.
1989 – Altra impresa himalayana di alto contenuto tecnico è stata la solitaria della Nord dello Jannu. Tomo Česen vi ha tracciato una via nuova sulla parete Nord, fino a 7710 metri, arrampicando per 2800 metri in 23 ore da solo e in stile alpino con difficoltà di VI+, A2, e con pendenza di 70-90°.
Un’impresa da vero superman, un capolavoro assoluto. Tomo Česen passa senza compagni là dove si misura il talento delle migliori cordate del mondo. Indubbiamente un alpinista che, in solitaria trova la sua via su quelle placche verticali di granito coperte da un sottile strato di ghiaccio, è un artista.
“Perché una volta attaccata la parete”, osserva il suo amico Tone Skarja, “non resta che realizzare ciò che è stato progettato tante volte nella mente, farne un’opera d’arte, fare i movimenti tante volte meditati, cercare con l’aiuto della piccozza gli affreschi di ghiaccio presenti…”.
A questo punto, un po’ per paradosso un po’ per utopia, qualcuno comincia a pensare alla stregata
Sud del Lhotse, dove hanno fallito – in équipe – Kukuczka, Messner e Profit.
Tomo Česen, ci crede seriamente e parte da Lubiana il 28 marzo 1990; si acclimata sulla vicina parete del Lhotse Shar e il 22 aprile compie la prima ascensione assoluta e prima solitaria della parete Sud del Lhotse.
Una straordinaria impresa compiuta arrampicando molto velocemente e continuando anche durante la notte al fine di evitare le pericolose cadute di sassi e di ghiaccio che normalmente battono l’immensa parete durante il giorno.
L’alpinista sloveno ha effettuato due soli bivacchi, a 7500 e 8200 metri ; quindi, superate le ultime difficoltà, ha puntato verso la cima a 8516 metri flagellata da un fortissimo vento.
1990 - Alle ore 14,20 del 24 aprile, con vento a oltre 100 chilometri all’ora Tomo Česen è finalmente in vetta, dopo 45 ore di scalata. Il mito del Lhotse non esiste più.
Per la discesa ha decisamente scartato l’ipotesi della via normale sul versante opposto a causa dei possibili problemi di orientamento.
Ha invece deciso di ripercorrere a ritroso lo stesso itinerario di salita dimostrando una bravura davvero eccezionale.
In questi ultimi anni la Sud del Lhotse si è imposta come una dei massimi problemi alpinistici dell’Himalaya.
L’impresa chiude quindi un capitolo importante nella storia dell’himalaysmo contemporaneo.
Il nome significa “monte a sud”. Si trova in Nepal. Vi si arriva attraverso la valle del Khumbu, la cui testata è chiusa dalla bastionata del Nuptse e del Lhotse, con la vetta dell’Everest che fa capolino.
Fino alla salita di Tomo Česen, 51 alpinisti ne hanno raggiunto la vetta per la parete Ovest.
Nel tentativo lungo la Sud nel 1989 perì il polacco Kukuczka.
Come la salita di Cesare Maestri al Cerro Torre e come altre travagliate pagine dell’alpinismo, anche l’ascensione di Tomo Česen viene setacciata dai filtri del dubbio. I francesi, con in testa Ivan Ghiradini, reclamano con toni pesanti le prove, mettendo in discussione anche l’attività precedente dello sloveno. Ma Česen non ha prove certe da esibire, come almeno la metà dei grandi solitari. La loro storia si scrive sulla fiducia e evidentemente non può essere confrontata, con i resoconti documentati delle spedizioni pesanti, tipo quella che ha salito con certezza, la parete del Lhotse nell’autunno del 1990. Ma precisa a riguardo lo stesso Tomo Česen: “Con la loro squadra numerosa e con l’uso dell’ossigeno i sovietici hanno dimostrato di aver compiuto un passo indietro rispetto all’attuale qualità dell’alpinismo e delle sue tendenze”. (Rivista della Montagna n. 128).