Alla fine di luglio del 2006 decedeva all'ospedale civile di Rovereto, dove era stato ricoverato per complicanze dopo un importante intervento al cuore, Carlo Andrich, alpinista accademico. Carlo era figlio di Giovanni Andrich, grande compagno di Attilio Tissi e nipote di Alvise Andrich, due fra i massimi esponenti di quella scuola agordino-bellunese che tanto aveva dato all'alpinismo dolomitico negli anni trenta. Col cugino Giorgio Ronchi perpetuò questa tradizione che sembrava quasi un affare di famiglia. Conoscevo Carlo dall'adolescenza, ma ne ignoravo l'aspetto più squisitamente sportivo-alpinistico. In seguito, dopo alterne vicende ci frequentammo riuscendo a realizzare alcune importanti salite.
Carlo iniziò giovanissimo e fu uno dei primi compagni di Roberto Sorgato; altri che ebbero la ventura di legarsi alla sua corda furano il cugino Giorgio Ronchi (dobbiamo loro un'importante prima sulla parete Sud dell'Auta orientale), quindi Bepi Da Damos, Renzo Timillero (Ghigno), Cesare Levis, Umberto Benvegnù, Toni Croda Carlin e moltissimi altri.
Carattere esuberante e sanguigno, a volte spigoloso e fin troppo schietto, fu uno dei protagonisti e sostenitori del movimento degli schiodatori, sorto nel tentativo di riportare le grandi vie classiche agli originali splendori, una iniziativa non priva di un certo valore etico. Guardando a quanto avviene oggi sulle nostre montagne, il messaggio sembra caduto nel vuoto e relegato ormai a pura archeologia alpinistica.
L'attività di Carlo fu corposa, numerose le prime ascensioni e oltre 600 le ripetizioni. Fra le curiosità è da ricordare un suo particolare record, avendo salito “infatti” per ben sette volte la Nord-Ovest della Civetta per la via Solleder, quasi un fatto personale.
Ora egli non è più tra noi e lascia un grande vuoto non solo fra i familiari ma in tutti coloro che lo hanno stimato ed amato. L'aquila, la vecchia aquila, come amavo definirlo con affettuosa e sottile ironia, ha spiccato l'ultimo volo.