(Vallada Agordina 1916 – Appennino 1951) - Alvise Andrich. Alpinista e pilota aeronautico. Con il fratello maggiore Giovanni fu protagonista dell’epopea del sesto grado, in particolare nel gruppo del Civetta. Il periodo di attività fu breve, fra il 1934 e il 1936; assai dotato nell’arrampicata libera, Alvise Andrich contribuì a spostare in avanti il limite di questa disciplina. Le vie principali sono del 1934: lo spigolo Sudovest della Torre Venezia e, pochi giorni dopo, la fessura Nordovest della Punta Civetta, entrambe con Ermani Faè; la via diretta sulla parete Sudovest del Cimon della Pala, con Mary Varale e Furio Biachet. L’itinerario sulla Punta Civetta risolveva il problema alpinistico del momento; venne salito in due giorni al primo tentativo, con alcuni espedienti temerari e un’arrampicata al limite del possibile e restò a lungo un modello di difficoltà, eleganza e ardimento in arrampicata libera.
Alvise Andrich divenne poi pilota di aviazione e ottenne tre medaglie d’argento in guerra.
Morì durante un’esercitazione aerea.
Alvise Andrich rappresentò la reazione alla nuova tendenza e, fedele alla scuola agordina capitanata da Attilio Tissi e dal fratello maggiore Giovanni Andrich, seppe portare l’arrampicata libera a dei livelli di difficoltà tali, da essere appena superati da quelli degli arrampicatori odierni, i quali unanimemente riconoscono nelle realizzazioni di Alvise Andrich un livello di difficoltà e di audacia che ha quasi dell’incredibile.
Alvise era di tredici anni più giovane di Giovanni ed era stato destinato agli studi dall’autorità familiare. Ma la passione per l’arrampicata lo portò, verso i diciotto anni, ad inserirsi nella compagnia del fratello maggiore. A differenza di Comici e di molti atri alpinisti che raggiungono l’optimum della forma attraverso una lunga e metodica preparazione atletica e la mantengono con un costante e severo allenamento, Alvise Andrich era un vero talento naturale. Aveva l’arrampicata nel sangue, come Preuss e come Dulfer, e, fin dai primi contatti con la roccia, dimostrò di possedere delle doti eccezionali e soprattutto un’audacia ed un coraggio che qualcuno potrebbe anche definire incoscienza. Ancora oggi ripetendo alcune vie di Alvise Andrich, come la direttissima della Punta Civetta, si resta veramente ammirati ed anche un po’ sconcertati dalla sua audacia. Seppe affrontare in assoluta arrampicata libera dei passaggi dove molti arrampicatori moderni di prima forza hanno onestamente riconosciuto che, probabilmente, trovandosi nella medesima situazione durante la prima ascensione, avrebbe sicuramente fatto ricorso ai chiodi e alle staffe. Oggi si passa in libera perché si sa che Andrich passò in libera e quindi tutto è più facile.
Ma se si pone idealmente nelle condizioni del primo salitore che procedeva nell’ignoto, allora il giudizio acquista una nuova dimensione e si comprende come Alvise Andrich sia stato veramente uno di quegli arrampicatori (come Vinatzer) che seppe innalzare il limite dell’arrampicata libera di un netto gradino rispetto ai contemporanei.
Nel 1934 Alvise a soli 19 anni ed è praticamente a digiuno di montagna vera e propria, in quanto ha soltanto compiuto qualche prodezza sui massi della palestra di roccia bellunesi.
Il 16 Agosto Furio Biachet ed Ermani Faè, due “vecchi” dell’ambiente agordino e bellunesi, prendono con loro il giovanissimo Alvise, forse anche con il segreto intento di metterlo alla prova sulla vera montagna…, e partono per tentare la salita in prima ascensione dello spigolo Sud-ovest della Torre Venezia, un problema più volte affrontato dai migliori arrampicatori della zonata ancora insoluto. Il primo giorno fu compiuta una ricognizione del punto più problematico, ma i tentativi di Ermani Faè e di Furio Biachet di superare un tratto strapiombante furono vani.
A questo punto, Alvise chiese timidamente se i due “anziani” abbiano nulla in contrario a lasciargli compiere un tentativo. Un po’ di perplessità, quindi: “Prego, accomodati!”.
“Abbandonata la stretta cornice su cui eravamo raccolti – scrive Furio Biachet – egli partì decisamente all’attacco dei primi difficilissimi strapiombi. Con uno stile ed una sicurezza che avevano del prodigioso, li superò in breve tempo, lasciando in no un senso di perplessità e di ammirazione…”.
“In realtà, a metà strapiombo, Alvise Andrich cominciò ad esclamare: “Volo, volo!” ed a sfoderare una sua tecnica personalissima: quella di spiccare piccoli salti, per afferrare appigli lontani. Tanto bastò che i due atterriti compagni dessero di piglio ai martelli e cominciarono a costellare il posto di sicurezza di tutti i chiodi disponibili, ripetendo, frattanto, l’un l’altro: “quello è matto”.
Quando dal rifugio Coldai ci si incammina per il sentiero che porta al Laghetto del Coldai e poi si valica un piccolo colle, improvvisamente si apre allo sguardo tutta la gigantesca muraglia Nord-ovest del Civetta e si resta veramente incantati di fronte ad uno degli spettacoli più grandiosi ed affascinati di tutta la catena alpina. La grande muraglia è caratterizzata da una serie di torri e di guglie che si innalzano come disposte in una scala gigantesca verso la vetta principale.
Lo sguardo ad una ad una scopre la Torre d’Alleghe, la Torre di Valgrande con la giallastra parete strapiombante, il Pan di Zucchero, la Punta Civetta, la Punta Tissi e la vetta del Civetta. Di tutte, forse, la più bella e affascinante è proprio la parete della Punta Civetta: alta quasi 800 metri, rigorosamente verticale, di roccia grigia chiara e compatta, levigatissima, è caratterizzata da due fessure sottili e profonde, che, con dirittura straordinariamente elegante e perfetta, solcano la parete parallelamente, dalla sommità dello zoccolo fino alla vetta. Le fessure, strozzate da numerosi strapiombi, rappresentano una linea ideale di salita, ma “…per una scuola di arrampicatori fondata principalmente sull’arrampicata libera e su un uso assai moderato di mezzi artificiali, un itinerario simile appariva denso di rischi e di incognite: non vi era notizia di precedenti tentativi, né apparivano possibili ricognizioni parziali.
In due giorni di durissima arrampicata fu scalata la fessura di sinistra (quella di destra sarà vinta vent’anni dopo, nel 1954, ma con lo stesso stile, dal fortissimo roveretano Armando Aste). Il racconto che Ermani Faè fa dell’impresa è avvincente: a poco a poco prende corpo il personaggio Alvise Andrich, audacissimo, testardo e cocciuto, capace di compiere tre voli successivi nel tentativo di vincere una “placca” levigata, capace di osare fino ai limiti dell’incoscienza, reggendosi ad un appoggio con il bordo della tasca dei calzoni per riuscire a piantare un chiodo provvidenziale prima di precipitare nel vuoto!
Ancora oggi la “Andrich” alla Punta Civetta è una grandissima arrampicata libera, fortunatamente rimasta nelle originarie condizioni di chiodatura e rappresenta veramente un severo banco di prova per gli arrampicatori più agguerriti. Anche le più difficili scalate fino agli anni 80, come il Diedro Philipp sulla Punta Tissi, la superano solo leggermente per sostenutezza e continuità delle difficoltà, ma forse non per la difficoltà pura dei singoli passaggi in arrampicata libera. In un’epoca in cui l’arrampicata artificiale stava prendendo piede sulle Dolomiti, la scalata di Andrich rappresentò quasi un’estrema difesa dell’arrampicata libera ed una dimostrazione palese che ancora si poteva osare, e di molto, prima di passare alla tecnica sistematica del chiodo. Questo non vuol dire che la Nord della Grande si potesse salire anche in arrampicata libera: l’unico mezzo per salirla era quello adottato da Comici. Ma prima di passare al “giallo” vi erano ancora moltissime pareti di estrema difficoltà che potevano essere vinte in arrampicata libera. Ma si sa che il progresso e la storia a volte, a dispetto di ogni filosofia , seguono dei cicli e dei cammini che gli uomini non riescono a controllare e devono soltanto subire, a volte con magnifiche ribellioni, come quella di Alvise Andrich, che tuttavia non rallentano e non fermano il cammino del cosiddetto progresso (o regresso?), ma rappresentano soltanto degli splendidi casi isolati che confermano la regola.
Altre magnifiche imprese di Andrich, furono.
1934 - 23 agosto. Alvise Andrich con Ermani Faè, realizza il suo capolavoro, salendo la parete Nord-ovest della Punta Civetta.
1934 - 6 settembre. Alvise Andrich, negli anni della «battaglia del sesto grado» traccia la direttissima sulla parete Sudovest del Cimon della Pala, con Mary Varale e Furio Biachet: via Dei Bellunesi: settecento metri di parete con l’uso di quaranta chiodi).
1935 - Alvise Andrich raggiunge la vittoria sullo spigolo Ovest della Cima De Gasperi (Civetta), con Furio Biachet e Attilio Zancristoforo.
Prima della guerra, Alvise compirà anche una serie di tentativi allo spigolo Sud-est della Torre Trieste, ma, giunto quasi al successo – che arriderà in seguito ai lecchesi Riccardo Cassin e Vittorio Ratti – dovrà rinunciare perché chiamato a combattere nell’aviazione militare. Dopo il conflitto, dove si distinse in azioni di combattimento e fu decorato di tre medaglie d’argento, praticamente non si arrampicò quasi più e nel 1952 perse la vita precipitando per un banale incidente durante un volo di servizio sui monti dell’Appennino.