Sulle orme di Solleder e dei tedeschi un gruppo d’alpinisti italiani per la maggior parte bellunesi e agordini, si fanno presto luce aprendo nuove vie, soprattutto nel gruppo della Civetta e riprendono i più difficili itinerari aperti in Dolomiti dai Monacesi.
Sotto la guida di Attilio Tissi, notevole caposcuola della nuova tecnica, uomini come Alvise Andrich, Faè, Zanetti, Bianchet, Zancristoforo costituiscono il gruppo di punta dell’alpinismo italiano dopo il 1925. Fa parte del gruppo Domenico Rudatis di Venezia, buon capocordata e soprattutto scrittore ardente e polemico che illustrerà in numerosi articoli i concetti del nuovo alpinismo e della “Scuola di Monaco”.
A partire dal 1930 sulle Dolomiti vengono alla ribalta il Gruppo del Civetta e le imprese realizzate su queste pareti da un manipolo di arrampicatori agordini e bellunesi, i quali, il più delle volte, giunsero all’alpinismo per motivi assolutamente poco importanti, sovente anche in età matura.
E’ il caso di Attilio Tissi, certamente uno dei più grandi arrampicatori di ogni epoca, una vera forza della natura, un uomo che sembrava nato per arrampicare; si dice che il giovane Tissi amasse di più trascorrere le giornate al caffè di Agordo oppure correre dietro alle gonnelle, piuttosto che faticare su per i ghiaioni.
Si narra che iniziò ad arrampicare quasi per scommessa, perché toccato sul vivo da alcune battute sarcastiche di altri amici bellunesi che invece si spacciavano per “alpinisti”.
E si dice che fin dal primo momento che egli posò le mani sulla roccia, tutti capirono che ci si trovava di fronte ad una specie di fenomeno, che arrampicava con estrema naturalezza e senza alcuno sforzo apparente.
Attilio Tissi aveva certamente doti naturali non comuni ed anche la sua forza fisica era proporzionata alla sua statura al di sopra della media.
Ma ciò che stupisce nelle realizzazioni alpinistiche compiute allora da questi uomini sul Civetta, è l’audacia con cui l’arrampicata libera veniva spinta a limiti di sicura caduta.
Con un ristrettissimo impiego di mezzi artificiali, fidando esclusivamente della propria forza fisica, del coraggio e della “stima” che si era fatta dal basso del passaggio da superare, questi arrampicatori si lanciavano su pareti verticali e strapiombanti, dove l’unico modo di procedere senza cadere era garantito dalla successione rapida e coordinata dei movimenti per evitare di arrestarsi in posizioni affaticanti che avrebbero portato ad una sicura caduta.
E dove si sentiva che si era prossimi a “volare” invece di ricorrere all’uso dei chiodi che avrebbero dovuto essere piantati in posizioni di equilibrio precario, si cercava di raccogliere le ultime forze per passare “di slancio”.
“…Sopra di noi si eleva una parete di placche di color grigio scuro, che in alto si curvano e sporgono come pance. L’avanzata diretta sembra chiusa. A destra e a sinistra sfuggono pareti lisce e verticali. Sentiamo che la decisione di proseguire ci impegna a fondo e che le sorti della lotta si presentano quanto mai incerte. Dopo una nostra osservazione, Tissi parte. Lo vedo distendersi, allungarsi da un appiglio all’altro, equilibrarsi sapientemente su minimi appoggi, salire calmo e preciso. Ripetutamente vibra nello spazio la nota acuta del chiodo martellato dentro la roccia. La doppia corda con cui siamo legati seguita ad avanzare oscillando nel vuoto, mentre io l’accompagno ansiosamente. Così diritta è la parete, che di sotto scorgo tutta la suola delle pedule di Tissi, che procede sempre lavorando con le punte dei piedi… Sopra la roccia strapiomba ed appare priva di appigli. All’intorno il vuoto più vertiginoso… Si potrebbe tentare di formare una piramide attaccata ai chiodi sullo strapiombo, ma Tissi invece allunga prima una mano, poi l’altra, si tira su e contemporaneamente apre smisuratamente le gambe, con dei movimenti e pendolo incomprensibili. Ho il cuore in gola. Non capisco come faccia, a reggersi in pieno strapiombo. Ha tutto il corpo nel vuoto, la roccia è liscia. Intanto ci grida: “Attenzione, attenzione, volo! Volo…!”.
Sto per trattenere la corda angosciosamente. Ma è un attimo. Egli è già su!… Non dimenticherò mai quei tre o quattro movimenti con cui egli ha superato lo strapiombo. Non furono degli scatti ma rapidi allungamenti oscillanti, durante la esecuzione dei quali mi sembrò che la legge di gravità scomparisse del tutto”.
Questo il colorito racconto di Domenico Rudatis di una delle grandi imprese degli agordini (Pan di Zucchero – Prima salita per la parete Nord-ovest) e attraverso le sue parole possiamo farci una idea più chiara dello “spirito” che animava questi arrampicatori.
Comunque, il promotore fu certamente Giovanni Andrich, il quale era in relazione con alcuni alpinisti bellunesi e particolarmente con Francesco, detto Checo, Zanetti, uno dei migliori arrampicatori dolomitici di quel periodo.
La Sezione del CAI di Belluno, sotto la guida di Francesco Terribile, era risolta dopo la guerra e stava passando un periodo di grande vitalità.
Non così si poteva dire, invece, della sezione di Agordo, che languiva tra ricevimenti in salotti della “bene” e giochi di carte, dove di alpinismo vi era ben poco.
Giovanni Andrich e Attilio Tissi, che ancor prima di arrampicare insieme erano grandissimi amici, sentivano questo disagio ed avrebbero voluto avvicinarsi all’alpinismo, forse affascinati dai racconti dei bellunesi Francesco Zanetti e Parizzi. E’ così che a poco a poco, attraverso i contatti avuti con i bellunesi, ad Agordo si venne a creare intorno ai due un piccolo gruppo di volonterosi, che ben presto avrebbero dato numerose prove del loro valore.
Qualche salita nelle Pale di San Lucano e nei gruppi dolomitici più prossimi ad Agordo serve a mettere a punto l’affiatamento della cordata Tissi – Andrich, tanto che nel 1930 i risultati di prestigio cominciano a farsi notare.
1930 – I componenti della Sezione di Belluno del CAI mettono in giro la voce che quelli di Agordo sono più bravi a parlare che a scalare. Con poco tempo, pochi soldi e 30 anni suonati, senza mai aver scalato una montagna, Giovanni Andrich e Attilio Tissi vogliono lavare l’onta aprendo una difficile via sulla Terza Pala di San Lucano. Muniti di una corda e di alcuni chiodi che a malapena sapevano usare, si avventurano verso la salita e dedicheranno la cima a Maria José del Belgio, a commemorazione del suo recente matrimonio e della passione che la famiglia ha per le Dolomiti.
La salita non è particolarmente difficile, ma segna l’inizio di una vera e propria passione per la formidabile cordata Tissi-Andrich. Nel 1972 un gruppo di giovani ripete la via, recuperando un chiodo dal peso di circa due chili.
Quel che sorprende e desta simpatia in Attilio Tissi e nel gruppo degli amici agordini è l’assoluta mancanza di “serietà”, quel voler ironizzare su certi aspetti tragici e cupi così frequenti nell’alpinismo austro-tedesco, quella spontaneità e quella naturalezza senza perché nell’andare in montagna, quell’arrampicare per divertirsi in buona compagnia. Non che questi uomini non fossero capaci di cose “serie”, anzi, nei casi necessari la loro determinazione ed il loro coraggio furono eccezionali, sia in montagna che durante la lotta di liberazione.
Ma forse erano più dei valligiani che dei cittadini e dei valligiani avevano conservato tutto un modo di andare in montagna, più sereno e meno nevrotico di quello cittadino.
1930 - 24 agosto, Giovanni Andrich e Attilio Tissi ripetono la via Preuss alla Cima Piccolissima di Lavaredo in poco più di due ore e scoprono con soddisfazione di non essere stati impegnati al loro limite.
Uno dei lati più simpatici del carattere di questo gruppetto agordino è il vivo senso di competizione verso l’egemonia dei tedeschi, direi un orgoglio patriottico che non giunge mai a sconfinare nel nazionalismo: non si dimentichi che Attilio Tissi fu sempre un dichiarato antifascista ed ebbe non pochi guai durante la sua carriera per aver manifestato apertamente le sue idee.
Comunque, il successo sulla Piccolissima di Lavaredo riempì i due di entusiasmo e li convinse a tentare la ripetizione della Solleder al Civetta, il “boccone” proibito agli italiani, una salita dove fino ad allora solo austriaci e tedeschi erano riusciti.
<<… Quest’ultima impresa – a quel tempo particolarmente rispettabile e tutt’altro che consueta ad arrampicatori italiani – suscita vero e proprio entusiasmo nell’amico Biadene, il letterato della compagnia. E Biadene viene fuori con un discorso un po’ matto, ma che, apparentemente, non fa una grinza: “State a sentire: in due ore o poco più avete fatto la Preuss. La “direttissima” della Civetta è, su per giù, come sei Preuss una sopra l’altra. “Ergo”, in una quindicina di ore o giù di lì dovreste farcela tranquillamente!”. Roba da chiodi, ma il bello si è che le cose dovevano andare proprio così!…>> (P. Rossi, La Grande Civetta).
1930 - Giovanni Andrich e Attilio Tissi vinsero la parete Sud dell’Agner.
1930 – Il grande e grosso Attilio Tissi, fornito di una elevata e proporzionata forza nelle dita, accompagnato da Giovanni Andrich, Attilio Zancristoforo e da Francesco Zanetti, sale in artificiale la famigerata via Casara su gli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia.
1930 - 31 agosto. Attilio Tissi e Giovanni Andrich compiono la prima ripetizione italiana della Solleder parete Nord-Ovest del Civetta. Fino a quel momento le ripetizioni della Solleder ammontano a sei, e tutte compiuta da cordate tedesche. Tanto da far dire che questa via “non è pane per gli italiani” Ma la settima ripetizione è appannaggio della forte cordata, seguiti a poca distanza da Hans Steger e Paula Wiesinger.
1931 – I formidabili Giovanni Andrich e Attilio Tissi salgono la parete Nord della Torre Armena. (Pale di San Martino).
1931 – L’impresa considerata più ardua di Attilio Tissi: è generata da un errore: con Giovanni Andrich, Attilio Zancristoforo e Francesco Zanetti, egli si trova impegnato sulla via Stösser-Hall-Schütt sulla Tofana di Rozes, parete Sud. [8] Una fitta nebbia crea la condizione per l’errore. Salgono infatti dritti lungo una fessura-camino, che Walter Stösser si preoccupò di evitare. Questa fessura, è unanimemente riconosciuta come la più rischiosa e difficile in arrampicata libera. Estremamente faticosa, essa esclude ogni possibilità di piantare alcun chiodo in quanto bisogna stare ben incastrati con il corpo e con gli arti. La via Tissi-Andrich-Zanetti-Zancristoforo, [9] forse oggi con i friends e gli excentrics si potrebbe lavorare meglio ad una protezione. Werner Schertle la definisce una delle più difficili salite libere delle Dolomiti, e di uguale parere sarà Reinhold Messner che negli anni Settanta la valutata come una delle più dure arrampicate libere delle Alpi. (In seguito nelle Alpi verranno tracciate molte vie di difficoltà nettamente superiore).
1931 - 30 agosto. Attilio Tissi sale lo spigolo Sud-ovest della Torre Trieste, una bella arrampicata che alterna tratti facili con altri di impegno più che notevole. Era comunque la prima volta che la Torre Trieste veniva salita lungo un versante che non sfruttasse le gole o i camini laterali.
1932 - 22 agosto. Attilio Tissi, Giovanni Andrich, e Domenico Rudatis conquistano la parete Nord-Ovest del Pan di Zucchero, arrampicata superba dove fu vinto in libera un tratto di V e di VI° grado, detto la “parete volante”.
1933 – agosto. Attilio Tissi pota la vittoria sulla bellissima parete Sud della Torre Venezia, un vero e proprio capolavoro d’arrampicata libera, oggi una delle vie più belle e ambite delle Dolomiti, con difficoltà di V° e V° grado superiore. Ma non si dimentichi che oggi i chiodi presenti in parete sono almeno il triplo di quelli usati da Attilio Tissi e non si dimentichi neppure che quando un chiodo è già infisso, è facile raggiungerlo di “slancio” ed afferrarvisi al volo: cosa ben diversa fu per il capocordata, durante la prima salita, il fermarsi su appigli microscopici in posizione faticosissima e precaria, cercare la fessura adatta ed il chiodo adatto alla fessura e poi, reggendosi con una sola mano, piantarlo a colpi di martello.
1933 - 2 settembre. Un’impresa significativa per farci comprendere le reali capacità di Attilio Tissi in arrampicata libera, fu la conquista del Campanile di Brabante (Civetta), superato con Giovanni Andrich, Domenico Rudatis, Carlo Franchetti e dal principe Leopoldo di Brabante.
Il Campanile di Brabante è una torre di roccia di modeste proporzioni, ma Tissi durante la prima salita superò all’inizio una paretina strapiombante con un solo chiodo d’assicurazione, vincendo in stile elegantissimo e pulito un passaggio di assoluto VI° grado. Ancora oggi, il “passaggio d’attacco” del Brabante è un vero e proprio “test” per l’arrampicatore, e non sono pochi anche i nomi celebri e famosi che hanno dovuto arrendersi di fronte alle difficoltà. Altri invece, volendo passare ad ogni costo, hanno riempito il passaggio di chiodi ed hanno anche usato le staffe…!.
Poco dopo, Attilio Tissi ebbe un grave incidente motociclistico e dovette abbandonare l’alpinismo estremo. Comunque continuò ad arrampicare, anche se durante la guerra fu uno dei maggiori esponenti della Resistenza.
Catturato dai tedeschi, fu atrocemente torturato e condannato a morte, ma fu salvato in extremis con un audace colpo di mano.
1959 - 22 agosto. Attilio Tissi, a seguito di un banalissimo incidente occorsogli sulla Torre Lavaredo, perse la vita, proprio accanto alla moglie Mariola, anch’ella valorosa alpinista.
Poi, tra il 1930 ed il 1931, il numero delle imprese di valore cresce a vista d’occhio, sebbene si tratti più che altro di prime ripetizioni o ripetizioni di itinerari difficili già aperti precedentemente (Steger al Catinaccio (1929), Spigolo della Busazza ecc.).
A dare una spinta decisiva verso la scoperta del nuovo e verso la conquista di pareti inscalate fu l’incontro con il “profeta” Rudatis, avvenuto nel 1931, che fu assai proficuo, perché finalmente le intuizioni e le teorie folgoranti di Domenico Rudatis potevano trovare una concretezza nella straordinaria capacità di un capocordata come Attilio Tissi.
Infatti i risultati non tardarono a farsi vedere: