Per molti le tre Torri del Vajolet sono un po’ il simbolo stesso delle Dolomiti.
Vuoi per le leggende suggestive e magnifiche che si sono create intorno al massiccio del Catinaccio, il celebre “giardino delle rose” del leggendario Re Laurino, vuoi per l’effettiva bellezza di queste guglie e pareti che al tramonto si tingono di violetto, vuoi anche perché le tre torri in genere sono fotografate con grande abilità in modo da farle apparire molto più ardite, alte e slanciate di quanto esse siano in realtà. Comunque viste da una certa angolazione, esse sono veramente eleganti, aeree e sottili, tre frecce di roccia che all’epoca dovevano veramente rappresentare il simbolo dell’impossibile. Infatti non per nulla erano tra le poche vette dolomitiche a non essere ancora state salite. In realtà la loro altezza non è notevole, ma le pareti e gli spigoli sono effettivamente verticali e difficili. In ogni caso indubbiamente esse devono esercitare un fascino veramente particolare sugli alpinisti se si pensa che il gruppo del Catinaccio e soprattutto il settore del Vajolet è uno dei più frequentati e battuti dagli appassionati di tutto il mondo.
1875 - Johann Santner, nel corso della sua attività esplorativa valicò il passo del Vajolet.
1887 - Georg Winkler superò la prima Torre del Vajolet, a diciassette anni, IV grado. Torre Winkler.
1888 - Robert Hans Schmitt fu il primo ripetitore della via di Winkler sulla Torre del Vajolet.
1892 - Dopo
l’esempio di Georg Winkler le Torri del Vaiolet
cominciarono ad attrarre l’attenzione degli arrampicatori e ben presto tutte le
torri furono salite da altri alpinisti come Stabeler ( di cui la
torre principale Torre Centrale del Vajolet, porta i suo nome. Torre Stabeler.
1895 – Hermann Delago emulò Georg Winkler salendo in arrampicata solitaria l’ultima delle Torri del Vajolet, la Torre Delago.
Poi, ovvia evoluzione della conquista, la traversata delle Tre Torri del Vajolet riuscì a Eduard Pichl e Hans Barth. La “fessura Pichl” è oggi facilitata da molti chiodi” ma diversa si presentò a Guido Rey e Tita Piaz che la superarono in cordata solo dopo un paio di sforzi di quelli che salvano la vita a un uomo. Guido Rey, che però non era arrampicatore eccezionale, dicevamo, non la trovò proprio facile e sciupò veri e propri fiumi di inchiostro cercando di descrivere il fascino e l’aspetto delle celebri tre torri, in una prosa sicuramente dotta ed elegante, ma più apprezzabile dai lettori dell’epoca, amanti della retorica e delle immagini eccessive e ridondanti.
Il regno di Tita Piaz è il Catinaccio e soprattutto le Torri di Vaiolet: le salì da ogni versante, in ogni stagione, di giorno e nelle notti di luna piena.
1900 - Magnifica fu la
salita solitaria della parete Nord-est della Punta Emma (una cima
che si erge di fronte al Rifugio Vaiolet a cui Tita
Piaz diede il nome della cameriera del rifugio stesso), tutta di IV° grado,
un impresa degna di un Georg Winkler, anche se la modestia di Tita
Piaz la mise sempre in secondo piano rispetto all’epica scalata del giovane
austriaco.
1911 – E’ di quell’anno la salita dell’elegante ed affilato Spigolo Sud-ovest della Torre Delago, scalato da Tita Piaz con Irma Glaser e Francesco Jori, certamente la via più conosciuta e ripetuta di Tita Piaz. Malgrado l’aspetto vertiginoso, l’arrampicata, elegante ed espostissime, si mantiene nel terzo e quarto grado.
1929 - Silvio Agostini con Hans Steger aprirono una via di media difficoltà sulla parete Ovest della Torre Stabeler. “Torri del Vajolet” (Catinaccio).
1933 - estate. Alberto I°, Re del Belgio, Aldo Bonacossa, Hans
Steger e Paula Wiesinger salirono per
la parete Sud della Punta Occidentale delle Punte
di Campiglio con un itinerario vario e interessante, che si svolge nel
mezzo della bella parete che fronteggia il Rifugio Brentei. Dislivello 550 m.
Difficoltà: IV° grado. - Massiccio
di Cima Brenta - Gruppo di Brenta
- Dolomiti di Brenta.
Re Alberto I° del Belgio al ritorno, a Passo Pordoi, fa la conoscenza di Tita Piaz, ed informato della sua grande esperienza, gli chiede di unirsi alla comitiva. Il “Diavolo delle Dolomiti” (pseudonimo avuto perché in valle si raccontava avesse venduto l’anima al Diavolo per fare ciò che riusciva a fare) accetta, anche se un po’ ritroso.
L’indomani sale con la compagnia al Sass Pordoi per la parete Sud. Al termine della scalata Tita Piaz non può fare a meno di professare la sua simpatia per la repubblica e denigrare gli istituti monarchici. Re Alberto I° del Belgio, senza scomporsi, gli risponde gentilmente che rispetta le sue idee, e gli dimostra come le pesanti responsabilità di un Re gli rendano la vita meno facile rispetto ad un Presidente Repubblicano. Tita Piaz è colpito dalla dignità del re e si rabbonisce: alla fine una forte stretta di mano suggella una nuova amicizia. Alla morte di Alberto I°, Re del Belgio, Tita Piaz gli dedicherà il suo rifugio ai piedi delle Torri del Vajolet.