Nato a Monza nel 1938, sposalo con due figli. Dopo aver conseguito un diploma di scuola professionale, comincia giovanissimo a lavorare alla C.G.S. di Monza. Si licenzia e per alcuni anni svolge attività di guida alpina ai Piani dei Resinelli. In seguito diventa rappresentante di articoli sportiti, professione che in parte svolge tuttora. Inizia prestissimo l'attività alpinistica. A quindici anni comincia ad arrampicare con i "Pell e Oss" monzesi e nel 1961 diventa accademico del CAI. Tra le molte vie percorse in quegli anni vanno ricordate: la via Bonatti sul Grand Capucin, la parete nord delle Grandes Jorasses (sperone Walker), le pareti nord delle cime di Lavaredo (via Comici e la via Cassin), la parete ovest del Dru in prima ripetizione italiana. Si dedica poi a spedizioni alpinistiche in tutto il mondo: nel 1962 alle Torri del Paine in Patagonia dove conquista la Torre Sud dedicandola al sacerdote ed esploratore italiano Alberto Maria De Agostini, nel 1965 alla Cordillera Blanca (Aguya Nevada), nel 1968 in Afghanistan per una spedizione italo-polacca sul Lunko occidentale, nel 1969 all'Alpa Mayo ancora in Cordillera Blanca. Dopo il 1968 partecipa ad altre spedizioni in Groenlandia, Bolivia, Alaska. Ancora nel 2000, a 62 anni, scala l'Amadablan (6854 m). Per il salvataggio di due alpinisti inglesi sulla parete nord dell'Eiger è stato insignito dell'Ordine del Cardo. E' membro del direttivo dei "Pell e Oss" di Monza.
1962 –Giuseppe (Det) Alippi torna per la terza volta a Grindelwad per tentare la Nord dell’Eiger con Nando Nusdeo. Il tempo pareva stabile, così si portarono alla base della parete e diedero inizio alla loro scalata.
Erano le tre del pomeriggio di Mercoledì 15 Agosto. Salirono veloci. Alle cinque erano sotto la Fessura Difficile, la superarono pensando di raggiungere il Nido di Rondine che era un posto buono per il bivacco. Salirono ancora ma quando mancava poco all'Hinterstoisser il tempo si guastò. Un fronte di nuvole cariche di pioggia si avvicinava minaccioso alla parete. I due scalatori ebbero un attimo di ripensamento: preferirono non rischiare di traversare l'Hinterstoisser sotto il temporale, così decisero di scendere per bivaccare alla grotta del Buco Bagnato.
Io ero dietro e il Nandino era sotto di me una trentina di metri; erano forse le sei e mezzo, sette quando, improvvisamente, vidi due che scendevano uno sopra e uno sotto, slegati; in libera sopra di me alla mia destra. Mi pareva strano vedere due, lì, scendere slegati. Un attimo dopo sentii come un sibilo e uno dei due, quello più in basso, lo vidi saltar via: pareva come quelli che si vedono nei film western che gli sparano e cadono all’indietro giù da una roccia. Fece un volo, finì sotto di noi, rimbalzò su una cengia, tentò di fermarsi, ma continuò a cadere, finché si fermò sul ciglio di un gradone! Quasi andava di sotto e sarebbe precipitato fino ai piedi della parete. Si muoveva, come scosso da tremiti. Io gli gridai di non muoversi; ma mi resi conto subito dopo che lui non capiva.
Il Nandino continua il racconto:
L’inglese aveva fatto un primo volo e aveva preso una gran botta.
Ma è continuato a scivolare finché si è arrestato su un pendio sporco di neve. Sussultava, tremava e si lamentava. Il Det è scattato via veloce a raggiungerlo mentre io gli facevo sicurezza. È riuscito a bloccarlo perché altrimenti quello andava di sotto, fino in fondo. Mi calai anch'io. Capimmo che non era italiano. Imprecava e farfugliava. Era ferito, aveva una gamba tutta rigirata e perdeva molto sangue dalla testa. Subito dopo arrivò giù anche il suo compagno che era fortemente sotto shock. Stavamo su questa stretta cengia senza poterci intendere. Erano inglesi. Cercammo di prestare al ferito le prime cure. Gli abbiamo dato da bere e abbiamo tamponato la ferita alla testa. Intanto il temporale ci era addosso.
In pochi attimi, per il Det e il Nandino, lo scenario si era capovolto. C'era un alpinista gravemente ferito, il suo compagno che era stranito e da solo poteva fare ben poco, c'erano oltre quattrocento metri di salto sotto di loro e il temporale minacciava in ogni momento di strapparli dalla parete.
La Nord dell'Eiger poteva attendere, la vita di un uomo ferito, in piena parete, non lasciava altra scelta! Ciò che contava in quel momento era soccorrere quell'alpinista. In piena tempesta, nel turbinare dei pensieri, il Det ebbe un flash di lucidità: si ricordò che lì ci doveva essere il Buco della Galleria. Lui era già stato ai piedi della parete e sapeva che il Buco della Galleria non doveva essere lontano. Racconta il Det:
Sapevo che c'era la finestra. Sono salito per andare a cercarla; l'inglese è rimasto giù con il ferito. Andavo un po’ di qua un po’ di là, perché dal basso la finestra non puoi vederla. Il Nandino mi faceva sicurezza. Io mi arrampicavo e mi spostavo un po’ a destra, un po’ a sinistra. Per la prima lunghezza di corda non ho trovato niente, mentre nel secondo tiro ho visto una placca verticale sopra una cengia. Mi sono detto che lì poteva esserci la finestra e fu una fortuna perché la finestra c'era davvero. Io ero sotto di quindici metri: sono andato su, ho rotto il vetro e l'ho aperta. Noi avevamo corde da quaranta metri, le abbiamo giuntate e ho fissato un'estremità lì alla finestra. Così ci siamo calati giù fino al ferito. Il temporale infuriava, eravamo fradici fino all'osso. Usammo allora le altre due corde, quelle degli inglesi. Con una io che stavo davanti assicuravo il Nandino e l’inglese; all’altra era legato il ferito e a mano a mano che loro lo sollevavano, io lo fermavo e lo bloccavo. E così risalimmo lungo la corda fissa, che era fradicia d'acqua. Ricordo che risalendo stringevo la corda, la strizzavo e l’acqua mi entrava lungo il polso e scorreva giù, giù fino alle caviglie!
Con l’inglese non c’era verso di intendersi e allora andò bene che il Nandino rimanesse di sotto e io di sopra, così potevamo intenderci sulle manovre. Il ferito si lamentava molto, quello sì lo capivamo.
Dopo oltre tre ore di sforzi terribili il ferito fu issato fin dentro il Buco della Galleria. Di colpo i quattro passavano in un altro mondo, buio, ovattato, misterioso. Fuori sull'abisso ruggiva l'uragano, là dentro erano al sicuro, e il rumore del vento non era che un fremito, un ronfare sordo.
Mi resi conto che era tutto cambiato; il bivacco interrotto, il volo dell'inglese, il nostro soccorso, e ora la galleria dove avremmo magari dovuto aspettare il treno del giorno dopo. C'era un uomo gravemente ferito, dargli tutte le possibilità di salvarsi fu una decisione che non richiese tra noi alcuna discussione, era quello che stavamo facendo.
Aver portato su per settanta metri un uomo gravemente ferito era stato una brillante azione di soccorso; che fare ancora?
Tornar fuori sulla parete? Assurdo, con la tempesta che infuriava. Aspettare l'indomani nel tunnel? D'accordo, non c'era altro da fare. Ma lì vicino alle rotaie del treno il ferito era scosso da brividi, da sussulti, invano incoraggiato e sostenuto dal compagno. Che fare? Lì Det guardò il Nandino.
Gli dissi che forse avevamo tribolato per niente perché l'inglese non sarebbe sopravvissuto fino al mattino. Faceva molto freddo. Sapevo che più avanti c'era una stazione, non sapevo a quale distanza e in quale direzione, ma lì c'era la possibilità di un ricovero e lì il treno si sarebbe fermato, la mattina dopo. Decisi di andare a cercarla. Dissi al Nandino che se non avessi trovato la stazione ci saremmo trovati al mattino al passaggio del primo treno.
Lì dove stavamo il trenino non si sarebbe fermato. Dopo un po' che stavamo dentro il tunnel, l'inglese cominciò a riprendersi mentre il ferito continuava a lamentarsi.
Decisi di andare avanti a cercare la stazione di Eigerwand, perché là il trenino si sarebbe fermato.
Allora non avevamo le frontali, a dire il vero noi non avevamo nemmeno la pila; l'inglese l'aveva ma non potevo chiedergli di prestarmela. Serviva a loro. Così mi avviai lungo il binario in salita nel buio più totale. Sentivo la rotaia con un piede, la saggiavo e avanzavo passo dopo passo. Dopo meno di un'ora vidi delle luci e arrivai alla stazione. Ebbi un attimo di paura, pensai che se c'era qualcuno mi avrebbero preso per un ladro! Aprii la porta che dava sul binario. C'era una stanza riscaldata, un tavolo, delle sedie, un telefono. C'erano vari numeri che provai a chiamare ma nessuno rispondeva. Mi pareva di essere in una situazione sempre più irreale!
Tornai subito indietro ad avvisare il Nandino e gli altri, giù fino al Buco della Galleria.
Nandino riprende:
Io e il Det abbiamo costruito una specie di barella con delle assi che abbiamo trovato e aiutandoci a turno abbiamo portato il ferito fino alla stazione. Nel tunnel tirava un'aria gelida, come un risucchio. Alla stazione c'era un fornello a gas, abbiamo fatto del tè caldo, abbiamo cambiato il ferito e l'abbiamo asciugato. Così fino all'alba; lui era malconcio, aveva una gamba spezzata e una ferita alla testa. Ma pareva essersi ripreso. Al mattino arrivò il primo treno e sul treno c'era Luis Trenker, il regista, con altri che lo aiutavano e che stavano girando un film. Scesero a vedere cosa era successo. Il treno si fermò una buona mezz’ora, c'erano molti curiosi che volevano vedere. Il treno ripartì per la Jungfrau e poi tornò, ci caricò tutti e quattro e così scendemmo alla Kleine Scheidegg. I due inglesi proseguirono per Grindelwald perché quello ferito doveva andare in ospedale. Ci ringraziarono.
Noi ci fermammo alla Kleine Scheidegg. Eravamo stanchi morti e ancora bagnati. Il Det fu proprio un fenomeno. Io gli diedi manforte ma fu davvero incredibile come seppe risolvere la situazione.
Chi erano i due inglesi reduci da quella drammatica odissea?
Quello che si era salvato grazie al provvidenziale soccorso di Det Alippi e di Nando Nusdeo si chiamava Andy Wightman. L'altro, il compagno, era Dougal Haston, uno scalatore scozzese, allora ventiduenne, lo stesso che avrebbe compiuto in seguito leggendarie imprese alpinistiche divenute famose per gli elevati margini di rischio e per lo spirito avventuroso e insofferente a ogni convenzione, tipico del personaggio.
Al suo secondo tentativo alla Nordwand, Haston aveva già ripetuto alcune fra le più classiche scalate dolomitiche; avrebbe scalato la Nordwand nel 1963 ma il vero colpo grosso gli sarebbe riuscito nel 1966 quando, invitato da John Harlin a tentare la direttissima invernale, avrebbe perso l'amico ma avrebbe vinto la Nord assieme ai tedeschi Lehne, Hupfauer, Votteler e Strobel. Il loro assedio alla parete immobilizzata dal gelo sarebbe durato dal 23 febbraio al 25 marzo 1966 e avrebbe avuto larga eco internazionale. La morte dell'americano John Harlin precipitato per la rottura di una corda fissa si sarebbe aggiunta alla lunga schiera di alpinisti vittime della Nordwand.
Haston fece dell'alpinismo il suo mestiere, un alpinismo estremo, inteso come fine ultimo e modello di vita. Nel 1970 con la spedizione inglese all'Annapurna, guidata da Chris Bonington, fu nella cordata di punta che tracciò una vertiginosa via nuova sulla parete Sud; sempre con Bonington portò a termine la prima scalata del Changabang nel Garhwal dell'India. Nel 1975 con Scott vinse la formidabile parete Sud-Ovest dell'Everest e nel 1976 con lo stesso compagno tracciò una via parzialmente nuova sulla parete Sud del McKinley. Considerato fra i migliori scalatori su ghiaccio del suo tempo, Haston perse la vita sotto una valanga nel gennaio del 1977 mentre faceva scialpinismo nelle Alpi svizzere.
Haston scrisse d'alpinismo in uno stile asciutto, essenziale, non privo di ironia e di uno spiccato senso di superiorità. Nella sua autobiografia In High Places pubblicata in Italia da Dall'Oglio con il titolo Verso l’alto, Haston ricorda l'episodio dell'incidente al compagno Andy e il soccorso generosamente prestato dai due scalatori italiani Giuseppe Alippi e Nando Nusdeo.
Ma lo ricorda assegnando più a sé che ai due italiani il merito dell'aver salvato la vita al compagno. Il suo resoconto infatti relega i due italiani a mere comparse da lui quasi dirette nell'opera di salvataggio. Tace sul fatto che fu il Det e non lui a partire alla ricerca del Buco della Galleria e a fissare le corde per issare il ferito fino alla provvidenziale finestra. Ancora, se a sollevare da sotto il ferito lungo le corde era certamente Haston, con lui c'era a dare manforte Nando Nusdeo. E fu il Det a infilarsi nella buia galleria per raggiungere la stazione di Eigerwand e trovare così un posto dove prestare al ferito maggior cura e assistenza e soprattutto poterlo caricare sul treno il giorno seguente.
Mentre raccontava questo episodio, Haston forse non pensava di alterare quanto era accaduto. Scriveva ciò che gli piaceva ricordare, cioè la sua personale avventura. A lui il ruolo dei due italiani non era parso determinante né meritevole di un cenno di gratitudine. Addirittura confonde il nome del Det, Giuseppe Alippi, con quello di un altro grande scalatore lecchese, Luigi Alippi (Gigi). Il suo esasperato individualismo e una certa mancanza di onestà intellettuale gli impedirono di riportare correttamente quanto era accaduto in parete.
Ben diversamente si comportò Andy Wightman, lo sfortunato protagonista dell'incidente che, reperiti a fatica gli indirizzi di Alippi e Nusdeo, scrisse loro per alcuni anni auguri di caloroso, riconoscente ringraziamento. La fine dell'avventura è ricordata dal Det:
L'incontro con il Canèla, Pierlorenzo Acquistapace al loro ritorno dalla vittoriosa scalata, non fu facile. Era giovane e per lui l'alpinismo era la prima ragione di vita. Ci si parlò con un certo distacco per un po’ di tempo, poi tornammo amici.
Adesso posso dire che aver salito l'Eiger senza di me era dispiaciuto più a lui che a me.
Io e il Nandino lasciammo la Kleine Scheidegg. Avevamo i soldi per il ritorno, ma allora era facile trovare passaggi e decidemmo di tornare in autostop per risparmiare. La prima auto a fermarsi caricò il Nandino, così lo salutai. Anch’io trovai presto un passaggio. Mi trovavo sui tornanti del Sustenpass ad aspettare un altro passaggio quando arrivò una Fiat Seicento verde: erano il Pierlorenzo e il suo futuro cognato che era venuto a prenderlo a Grindelwald. Mi fecero salire a bordo. La macchinina era stracarica e sulle rampe del passo faceva una gran fatica. Loro si dirigevano verso Livigno per far visita a un amico del Mario, il cognato del Canèla.
Così passammo Pontresina, St. Moritz e poi sulla salita del passo Bernina la Seicento riprese a sbuffare e ad arrancare. Soffriva proprio, così quando arrivammo all'altezza dell’ospizio mi risolsi a chiedere di scendere per alleggerire il carico. Io e il Canèla ci salutammo.
Trovai poi il passaggio di una moto, più avanti di un camion e poi di un altro e discesi così la Valtellina fino a casa.
* Il soccorso sull'Eiger venne valutato come «miglior soccorso dell'anno» dalla giuria che, nel '62, assegnò al Det Alippi e a Nando Nusdeo il premio di solidarietà alpina, l'Ordine del Cardo.
1963 – Nando Nusdeo con alpinisti di notevole valore come Armando Aste, Vasco Taldo e Josve Aiazzi, partecipò alla spedizione italiana alla Torre Centrale delle Torri delle Piane in Patagonia e fu vinta, lungo un itinerario di difficoltà estrema, con grande ricorso all’impiego dei chiodi e dei cunei di legno.
Ma sulla parete si trovava già la spedizione inglese, guidata dai “soliti” Don Whillans e Chris Bonington. Inizialmente vi fu un po’ di dissapore tra i due gruppi, ma poi al termine dell’impresa le cordate agirono in amicizia, anche se i primi a giungere in vetta furono gli inglesi.
Durante tutta la spedizione il tempo fu pessimo, se si pensa che il gruppo inglese dovette restare per ben sei settimane bloccato nelle tende del campo base in attesa del bel tempo.