Tra i primi esponenti dell’alpinismo senza guida i fratelli Zsigmondy occupano un ruolo di primissimo piano.
Austriaci, studenti in medicina, essi portarono la pratica alpinistica ad un livello decisamente superiore rispetto ai livelli raggiunti in quei tempi.
Furono tuttavia criticati dai contemporanei per la loro temerarietà, da alcuni definita come incoscienza vera e propria.
Si erano formati sulle Alpi Bavaresi e nelle Dolomiti colsero i primi successi.
Del gruppo faceva anche parte un altro giovane austriaco, Ludwig Purtscheller, alpinista veramente eccezionale che seppe esprimere un’attività ancora superiore a quella degli Zsigmondy.
Degli Zsigmondy va ricordata nel 1879 l’impresa compiuta sul Feldkopf, nelle Alpi di Zillertal, certamente la più difficile scalata senza guida compiuta in quei tempi.
Malgrado le critiche (soprattutto di parte inglese), gli Zsigmondy, di cui Emil era il vero e proprio capo, furono certamente degli innovatori e gettarono le basi per il formidabile espandersi dell’alpinismo cittadino senza guida negli anni successivi.
E furono anche alpinisti completi, in quanto la loro attività spaziò su tutta la catena alpina, fino al lontano Delfinato.
Proprio sulla parete Sud della Meije, nel tentativo di risalire un canalone assai pericoloso per le frequenti scariche di sassi, Emil Zsigmondy trovò la morte in un tragico incidente, che fu poi naturalmente strumentalizzato dagli inglesi per dimostrare la pericolosità e l’inutilità dell’alpinismo senza guida.
Il loro giudizio sugli Zsigmondy e sull’alpinismo tedesco in generale, in quel periodo, non doveva essere molto favorevole.
Anche la Engel nella sua Storia dell’alpinismo non è molto tenera:
“Questa abitudine di arrampicare contro ogni consiglio del buon senso, di correre qualsiasi rischio e di aprirsi una via a qualsiasi prezzo, trova adepti sempre più numerosi, specie tra alpinisti tedeschi ed austriaci. Fra i più fanatici si possono annoverare i tre fratelli Zsigmondy.
Malgrado le ore passate tra laboratori, ospedali e biblioteche (erano studenti in medicina) essi erano riusciti ad arrivare ad un grado di allenamento davvero ammirevole.
Il migliore dei tre era Emil che, durante i suoi corsi all’estero aveva sempre impressionato molto favorevolmente, i colleghi per la simpatia che irradiava da lui e per la sua semplicità.
Oltre ai tre fratelli, il gruppo comprendeva Ludwig Purtscheller, austriaco anche lui e professore di ginnastica.
Avevano cominciato nelle Alpi Austriache e continuato nelle Dolomiti.
La loro vittoria alla Piccola di Lavaredo era stata frutto di una lunga lotta contro la roccia friabile e contro il cattivo tempo.
La stessa cosa può dirsi per la Zsigmondyspitze nello Zillertal.
Quando si legge il libro di Emil Die Gefahren der Alpen, si rimane sbalorditi dalla rapida successione di situazioni tragiche nelle quali i tre giovani sono venuti a trovarsi.
Sembra che essi abbiano una precisa esperienza personale di tutti i pericoli della montagna.
Sono sorpresi da un uragano sul Sass Maor, rimangono feriti dalla caduta di pietre o da seracchi, sono travolti da valanghe, rimangono gravemente congelati in una tempesta di neve sulla Marmolada, si perdono nella nebbia sul Dachstein perché la loro bussola è impazzita, devono bivaccare sotto l’uragano al Monte Rosa, cadono in un crepaccio al passo della Lobbia Alta… Dent diceva che Emil Zsigmondy “era troppo temerario perché fosse possibile imitarlo” ed il suo libro sembra un lungo rosario di tragedie che continuano fino alla sua caduta mortale alla Meije, nel 1885, mentre cercava di scalare una parete vergine.
Ludwig Purtscheller continuò le ascensioni dopo la morte dell’amico, ma rimase gravemente ferito al Dru e morì qualche settimana dopo, nel 1900”.