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   Bepi De Francesch

 

Bepi De Francesch – (

 

 

Bepi De Francesch, sulle Dolomiti è stato definito un “amante del punteruolo”, il quale realizza numerose imprese che suscitano notevole scalpore nella schiera dei poveri puristi, i quali, mai come in quel periodo, si vedono infangati e violentati nella loro verginità.

Bepi De Francesch, a costo di duri e costanti allenamenti e valendosi di un gioco intelligente di staffe e cordini, riesce a piantare i chiodi ad espansione assai distanti, tanto che i ripetitori si trovano in difficoltà a salire lungo le file di chiodi da lui piantate!.

Però, a merito ed onore di De Francesch, va detto che è un arrampicatore libero con i fiocchi e più volte lo ha dimostrato sulle Dolomiti. E vi è di più: a differenza di altri che hanno “il punteruolo facile” e bucano anche dove si potrebbe salire con chiodi normali o addirittura in libera, il Bepi è assai scrupoloso e buca soltanto dove è necessario.

Vi è piuttosto da dire che De Francesch va alla minuziosa ricerca di pareti lisce come sassi di fiume, dove con tutta la più buona volontà non si riesce a trovare né una misera fessura né tanto meno un buchetto per piantare un chiodino. E su queste lavagne vi resta per settimane intere, piantando centinaia di chiodi e praticando centinaia di fori, una tecnica dove si dice sia un maestro insuperabile. Nulla da ridire. Probabilmente a lui piace così e si diverte. Anche se il purista di turno esplode di rabbia e dice: “Ma dove sono i valori dell’alpinismo?”.

Dove ciascuno li vuole e li può vedere e dove gli fa comodo vederli.

Inoltre, la sua ferrea filosofia, per mantenere alto il livello delle prestazioni, lo porta ad affermare che chiunque, amici compresi, dopo le 22 «non sono ospiti desiderati».

Ma è la sua umiltà che lo contraddistingue da altri “artificialisti”: «I suoi pareri, le sue risposte, rifiutano ogni sorta di contrarietà, sono sempre nati da una considerazione: l’uomo è un essere libero e la libertà è un suo diritto naturale. Tanto più allora, l’alpinismo deve essere considerato un terreno di libertà per tutti. Poi ognuno è altrettanto libero di condividere o meno principi e risultati».

Curiosi sono i nomi che Bepi De Francesch dà alle sue realizzazioni, ma in tutte le cose c’è una spiegazione ed è presto detta: egli ama le celebrazioni, le manifestazioni, tutti quegli atti ufficiali di richiamo collettivo, e così nasce la via Italia ‘61, per il centenario dell’unità nazionale, la via Olimpia, dedicata ai Giochi Olimpionici di Roma, la via Concilio, e così via.

 

 

 

1952 – Un tale Bepi de Francesch sale da Moena ad Alba di Canazei con la bici da corsa. Lasciatala dietro un casolare, raggiunge il rifugio Contrin e poi il Passo Ombretta.

Dopo aver individuato sulla parete Sud della Marmolada la famosa via Bettega, proposta abitualmente dalle Guide ai loro clienti, alle ore 08.00 parte per compiere la salita solitaria, e scende per la “ferrata” tanto da essere di nuovo in Valle alle 13.00. Salta in sella alla bici, e senza parlarne con nessuno per non rovinare le sensazioni e le emozioni provate, rientra a Moena.

 

1955 - Bepi De Francesch sul Pilastro Sud del Piz Lasties (2600 m.) apre la via De Francesch con difficoltà di IV° grado, con uno sviluppo di 425 m. + 150 m. all’attacco + 25 m. per il collegamento col massiccio del Sella.

Interessante itinerario in ambiente selvaggio. Un po’ laborioso l’approccio, e abbastanza lunga la discesa.

 

1956Bepi de Francesch introduce nel mondo alpinistico un nuovissimo chiodo che impiega per superare uno strapiombo sul fungo d’Ombretta in Marmolada.

E’ il cosiddetto chiodo “a espansione”. Questo è più corto dei normali chiodi, è di ferro dolce e viene piantato forando la roccia con un perforatore consentendo di superare in artificiale qualsiasi difficoltà!. Questa è una soluzione, che, sebbene non inedita, costituisce un’eccezione alla regola e come tale scatena furibonde polemiche.

 

1956 - Bepi De Francesch sul Pilastro Sud Ovest del Piz Lasties (2625 m.) apre la via De Francesch (V) con tratti di V° grado, per un dislivello di 450 metri.

Itinerario interessante e suggestivo, in ambiente alpino. Discesa abbastanza lunga.

 

1961 - Bepi De Francesch con Quinto Romanin, Emiliano Wuerich e Cesare Franceschetti aprono sul Piz Ciavazes (Gruppo del Sella) una via denominata “Italia 61”, superano un tetto di cinque metri a forza di fori artificiali, e naturalmente la valutazione è standardizzata: sesto grado artificiale.

 

1971 – Su di un quotidiano, con firma E. Cassarà, appare un articolo su Bepi De Francesch: «Il Bepi, allorché quelli dell’Apollo 14 non ce la fecero a raggiungere il cratere di Fra’ Mauro, sulla Luna, si prese una bella arrabbiatura. Ma come! Lui gliel’aveva anche scritto, alla NASA: “Sono il Bepi De Francesch di Moena di Fassa, guida alpina e brigadiere istruttore della scuola di Polizia di Moena; qui in Italia e anche in Himalaia mi conoscono tutti, sono uno che non ammette che ci sia una montagna sulla quale non si possa salire; se avete bisogno di me, per le montagne della Luna – ce ne sono, ho visto le fotografie – eccomi a presentarvi i miei servizi, quel che posso fare. Voi pensate a spararmi sulla Luna, poi lassù ci pensa il Bepi». Non è uno scherzo.

Eravamo all’indomani di Apollo 11. Gli risposero. Ci mostra la lettera. Congratulazioni e grazie, terremo presente. La risposta non era affatto di maniera, gli mandarono le fotografie degli astronauti di Apollo11 e poi di quelli di Apollo 12 e 13, queste ultime con gli autografi. Ma poi cosa fanno?.

Il Bepi più ci ripensa e più s’incavola. Vanno sulla Luna con Apollo 14, scendono e camminano, ma si fermano prima di raggiungere i bordi del cratere. In salita si bloccano. E il Bepi? – “Aspetto una lettera,perché gli ho rinnovato la proposta. Devono decidersi a mandare gli alpinisti. Allora sarà una vera conquista. Io sono pronto”».

Tornando a parlare di “alpinismo terreno” e di Bepi De Francesch, bisogna parlare del “marchio di fabbrica” con il quale segna le sue salite artificiali. Egli riesce a salire sull’ultimo gradino col piede sinistro e mettere il destro incrociato all’interno, dinanzi al sinistro, tanto da poter spingere con la punta sulla roccia. E’ la sua specialità . In tal modo mantiene l’equilibrio, ma soprattutto riesce a piantare il chiodo molto in alto ( i famosi 140 centimetri).

Tedeschi, austriaci e italiani soffrono molto per ripetere i suoi itinerari.

 

1979Giovanni Paolo II sale con la funivia sulla Marmolada. Ad attenderlo c’è Bepi De Francesch, che gli regala la corda seminuova adoperata con Fiorenzo Vanzetta per aprire in arrampicata libera la via, per l’appunto denominata Giovanni Paolo II. Il Papa riceve il dono ringraziando. Accanto a loro ad osservare la scena, due alpinisti polacchi: Marek Zygmund e Okon Cywinski, giunti da Cracovia a piedi(1300 chilometri)!. I loro scarponi sono testimoni del lungo cammino. Giovanni Paolo II infila sulle loro spalle la corda dicendo: «Portatela al museo dell’università di Cracovia a mio ricordo».